venerdì 23 marzo 2012

La ribollita

La casa di nonna in via Romana che disegnai nel '66
Tutte le volte che sento l’odore del pepolino, che è una varietà nostrana di timo, non posso non ricordarmi una mattinata, che è uno dei miei ricordi più cari.
Una mattina calda, di tanti anni fa, quando le macchine passavano da via Romana una, ogni morte di Papa, e si sentiva il vociare della gente di san Frediano, che usavano le finestre come antichi telefoni.
Come spesso succedeva, mi facevano passare il lunedì dalla nonna Egle. Ed io ero al settimo cielo, perché sapevo che sarei andato il pomeriggio a giocare alla guerra a Boboli!
Quella mattina, nonna mi disse: “Oggi ribollita... e mi dai una mano!”
“Intanto sciacqua bene gli odori sotto la cannella”, ed io obbediente presi quelle carote, il sedano e la cipolla e via a schizzar sotto il rubinetto. Infatti la cannella, in realtà era, a Firenze, il rubinetto. “ma cosa fai? non vedi che bagni tutto... lascia stare. Ci penso io”
Poi prese gli odori, e una volta messi su quel bel taglierone (non immaginate cosa avrei dato per poterlo usare come scudo) e con la mezzaluna iniziò a tritarli.
“Vuoi provare?” e io eccitato in piedi sulla seggiola, presi quei due pomelli e cominciai a zigzagare. Mi sentivo grande.
Poi prese gli odori, che lei aveva finito di sminuzzare e li buttò nella pentola dove prima aveva messo un goccio, scarso, d’olio d’oliva. L’odore subito si spanse per l’aria e... venne subito l’acquolina in bocca. “Ora c’è un bel lavoro per te!” mi beccò subito mentre mi accingevo a correre in giardino per giocare. “C’è da schiccherare il cavolo nero”.
Bisognava levare la parte erbacea dal gambo duro del cavolo, e così facemmo velocemente. Intanto aveva sbucciato due belle patate e tagliate a quadretti le aveva buttate sul soffritto, seguite, appena finito lo schicchieramento, dal cavolo spezzettato.
Sui fornelli C’era anche un pentolone di fagioli che aveva cotto la mattina presto, e ne tolse il brodo di cottura e lo versò nella pentola del soffritto. A quel punto cominciò il bello. Divise in due parti i fagioli, e una parte era da passare col passaverdure! La mia specialità!
E così, in piedi su una seggiola, in equilibrio precario, cominciai quell’ardua operazione! La manovella girava, e sotto per magia usciva la polpa di fagioli! Piano piano il lavoro fu fatto mentre grondavo di sudore ma pieno di soddisfazione.
Versò così nella pentola anche la purea di patate, aggiunse un pochino di sale, tanto pepe e mi disse a quel punto: “Mi vai in giardino a prendere un ciuffetto di pepolino?”
Via di corsa, con Dago, il gigantesco cane lupo che mi aspettava, varcai la porta del giardino che dava sulla limonaia di Boboli, da cui arrivava un profumo irresistibile! E in quel giardino mi persi in giochi, tanto che la nonna per non so quante volte mi chiamò chiedendomi del pepolino! Poi glielo portai alla minaccia di non portarmi ai giardini nel pomeriggio!
Adesso la pentola bolliva, piano piano! “C’è da abbrustolire i’ pane!” Lo vuoi fare te?” mi chiese, ed io non potei rifiutare, anche solo per riprendere fiato! Cosi mi misi vicino ai fornelli, sempre sulla solita seggiolina, a voltare quelle fette di pane sulla gratella con un paio di pinze, attento a non farle abbrustolire troppo e soprattutto a non bruciarmi. Una volta fatte, una bella strusciata d’aglio e nel frattempo la minestra era cotta. A quel punto c’era solo da spezzettare il pane dentro la pentola, che feci con grande soddisfazione! Un altro po’ di cottura, fino a che il pane aveva assorbito bene il liquido della pentola.
Ora era fatta! Si poteva uscire. San Frediano la mattina era splendida. Poche macchine, i barroccini che passavano pieni di ogni ben di Dio. Urla, voci, rumori profumi...e anche puzzi! Soprattutto nelle stradine strette. I negozi pieni di cose buone e l’immancabile bizza davanti alla cartoleria di Piazza San Felice. La visitina d’obbligo a bottega dal nonno, in mezzo a tutto quell’oro svolazzante (faceva il doratore) e poi il ritorno a casa per fare i compiti. poi il pranzetto e il pomeriggio, dopo un obbligatorio riposino, a Boboli!
Passata la giornata si avvicinava la cena e sarebbero venuti a riprendermi i miei genitori. A quel punto si rimise la minestra di Pane sul fuoco. Doveva ribollire ben bene per diventare “Ribollita” Finalmente a cena!
Mancava solo un gocciolo d’olio sulla ribollita! Mio nonno Corrado, democristiano spaccato, ci faceva sopra una bella Croce, dicendo che era un dono di Dio, mentre mia nonna, comunista partigiana invece ci faceva una bella C come comunismo dicendo sempre “Il mangiare ce lo porta i’ mi’ lavoro, mica di quello lassù!” Mio zio Carlo no, lui si mangiava il bruciacchiato che rimaneva sulla pentola, direttamente, dicendo che era la parte migliore.
Finiva così la giornata, quasi tutta dedicata al mangiare e al nipotino.
E’ uno degli ultimi ricordi di mia nonna, perchè poco dopo ci lasciò. E tutte le volte che mangio la ribollita, da fare solo e soltanto come lei mi ha insegnato, il mio cuore è con lei!

sabato 10 marzo 2012

Io e la Madonna

Fiesole vista dal convento
Ricordo anche il giorno che accadde, era il 29 aprile del ‘94.
Lo ricordo bene, anche perché successero diverse cose strane contemporaneamente.
Devo fare un piccolo preambolo. In quei giorni, in tutta Italia, spuntavano come funghi, Madonne che piangevano. E, le suore di Fiesole, ne erano rimaste contagiate da quelle notizie ed erano anche un po’, diciamo, su di giri, per gli eventi.
Nel loro giardino secolare c’era (oddio, c’è ancora) una statua della Madonna, anzi della Miracolosa Immacolata, mentre schiaccia la serpe, simbolo del demonio. La statua era a grandezza naturale, su un rialzo in pietra e sotto un loggiatino seicentesco. All’ombra di un bel tricentenario, immenso, Cedro atlantico. Qualche anno prima, un imbianchino armato di buona volontà, l’aveva dipinta con colori a smalto, facendo un lavoro piuttosto misero, ma abbastanza da poter soddisfare le povere suorine. Ma purtroppo il tempo aveva reso la statua un ammasso scartocciato di vernici e colori.
Fu così, che suor Emilia, la superiora del convento, forse presa dall’entusiasmo di quelle madonnine piangenti mi chiese se ero in grado di poter ridipingere per bene la statua. Non era veramente guardabile, e sicuramente immagino che si sarebbe vergognata se.....
Naturalmente, io dissi che si, era possibile, ma avrei dovuto vedere di che materiale era fatta, così da poter scegliere bene il tipo di colore per verniciarla, oppure lasciarla al naturale. Lei mi dette l’autorizzazione e io presi i miei arnesi da pittura.
Andai accanto alla statua e, con tutta naturalezza andai con il raschietto sulla guancia della Madonna, dato che era alla mia altezza e era anche l’unica parte un po’ piatta che si potesse raschiare. Oddio, ci sarebbero stati anche i seni, ma mi sembrò non tanto edificante e un po’ irrispettoso.
Cominciai così a raschiare dall’alto verso il basso, come si fa di solito, e delicatamente levai diversi strati di vernice, fino ad arrivare alla statua nuda.
Era in terracotta, sicuramente dell’Impruneta, dato il suo bel colore rosso caldo.
Allora presi armi e bagagli e tornai dalla superiora dicendogli, non senza entusiasmo, che sì, si poteva fare, anzi sarebbe venuta benissimo, perché il fondo di terracotta avrebbe permesso una perfetta lavorazione pittorica. Però dovevo andare fuori Firenze per qualche giorno, ma al mio ritorno avrei subito fatto il lavoro.
Il 2 di maggio tornai al convento e fu una tragedia. Il Cedro era stato aperto in due da un fulmine la notte fra il 30 e il 1° maggio. Come arrivai mi corsero incontro Suor Emilia, la superiora, e suor Amelia l’economa, sbraitanto come matte: “Maurizio cos’hai combinato?, che scherzi sono questi?” “non ti vergogni”, “quelle povere suore al freddo”.Io sinceramente non capivo e cascai dalle nuvole.
Per fortuna si accorsero che, veramente, io ero involontariamente colpevole di un equivoco!
La sera del 30, dopo cena, due suorine, suor Eufrasia e suor Rosaria, erano andate nel giardino a passeggiare e dire il rosario, ma, ignare del lavoretto che avevo fatto, vedendo la Madonna con quel rigo rosso sotto gli occhi, cominciarono a strillare e pregare contemporaneamente. La Madonna del loro giardino piangeva. Nel giro di pochi minuti tutte le sorelle erano uscite e si erano inginocchiate (sulla ghiaia) a pregare.
Pregarono un bel pezzo, almeno finché non arrivò la superiora, che, essendo impegnata in parrocchia, non era presente al fatto. Memore del mio lavoro, vide che la strisciata c’era, sì, ma era quella che avevo fatto io. Ci vollero ore per convincere tutte le anziane sorelle che pregavano che era una mia “opera” e non lacrime, e soltanto un improvviso temporale le desisté dal continuare!
Ma ormai il danno era fatto... e io avevo fatto piangere la Madonna e quelle povere suorine erano rimaste a pregare al freddo e sulla ghiaia per ore.
Ma come rientrarono tutte in convento, un violento lampo,  colpi il cedro dalla punta alla base, aprendogli uno squarcio nel tronco!
Andarono a dormire tutte terrorizzate.

Per fortuna capirono la mia buona fede, ma qualcuna sicuramente no, d’altra parte sono molto dispettoso e gli scherzi mi piacciono assai.
Comunque la Madonna fu ridipinta e venne perfetta. Bellissima. Il Cedro fu imbracato e piano piano salvato e fu anche fatta la messa per la Madonna “piangente” riparata.
Purtroppo non è durata tanto perché la Gertrude, suora pratese, presa da un amore spassionato, tutti i sabato mattina, cascasse il mondo, gli faceva il bagno con acqua sapone e spugna... e, struscia oggi, e struscia domani, dopo pochi mesi la vernice se ne andava, come il ricordo, di quella notte “miracolosa”.
Naturalmente per le suore, il fulmine, era il segno divino della blasfemia che avevo commesso, e che, sicuramente, sarei andato all’inferno!
Suor Gertrude non me l’ha mai perdonata, anche se alla fine mi disse: “Tu m’ha fatto talmente bene i’ serpente che sembra vero. E l’Amelia la un viene più a tagliarmi i fiori dalla Madonna. La c’ha paura di’ serpente... e l’è una serpe lei, figurati!”

giovedì 8 marzo 2012

Donna

















Ti siedi davanti a uno specchio
e, guardandoti nel profondo degli occhi,
ci vedi il tuo mondo trascorso,
che è fatto di storie,
di amori,
di vita.
Quelle piccole rughe,
nascoste dal trucco,
ricordano ferite passate e presenti,
Fatiche,
rincorse,
paure.
Una vita di corsa, correndo,
per i tuoi figli,
per il lavoro
e per il tuo uomo.
Ti doni senza risparmio
e la vita ti passa quasi scherzando.
Ma guardandoti il profondo degli occhi
ci vedi un bagliore,
un sorriso.
Dai tutto per ogni tuo amore,
per un solo grazie
e a volte insperato.
Ma sei contenta lo stesso,
e soddisfatta,
eroina,
altruista,
di vita!