lunedì 22 luglio 2013

Capitolo XX.


Liberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa della Fata; ma lungo la strada trova un serpente orribile, e poi rimane preso alla tagliuola.

Fu così che quella mattina decidemmo di esplorare i dintorni di Bagnolo, sul passo del Giogo a Firenzuola. Sapevamo  che là, sopra la casa c’era il crinale dove i tedeschi avevano costruito la Linea Gotica e che ci ispirava non so quali fantasie. Non ricordo che anno era, ma eravamo già abbastanza grandicelli. Così di prima mattina, tutti belli armati di scarpe da ginnastica, jeans robusti e zainetti pieni di ogni ben di dio, partimmo per quella avventurosa gita! Così, nonostante le continue “brontolate” di Ornella (che era la mamma momentanea di tutti) Io, Carla, Fabrizio, Gabriella e Gido, partimmo per l’avventura. E l’avventura fu arrivare al crinale. Ci infilammo su nel bosco, in mezzo ai castagni e le querci, e fra una scivolata e l’altra e una bella culata in terra, raggiungemmo i sentiero. Dopo un paio d’ore, credo che facemmo si e no, nemmeno 300 metri.... Comunque, diligentemente c’incamminammo in quel viottolo scosceso, non so come scavato nella montagna. Tutti rigorosamente in fila indiana, dato che non c’era nemmeno lo spazio per girarci, dato che da una parte c’era la parete della montagna, da l’altro il burrone con tutto il sottobosco. Ad un certo punto, Fabrizio, che era il primo si trovò davanti un serpente gigante... ci bloccammo tutti impietriti. Questo non ne voleva sentire di farci passare e cominciò a tirare fendenti con la coda! Fabrizio, che era l’unico che poteva colpirlo, gli lanciava addosso ogni ben di dio, gridando: “Datemi un bastone, datemi un bastone”!. io prontamente vidi un bel palo, glielo passai e appena tentò di colpirlo, il bastone si sbriciolò in mille pezzi... Non sò se a quel punto furono più le risate o la paura di quel bestione. Riuscimmo (anzi Fabrizio riuscì) ad ammazzarlo e come un cimelio ce lo portammo via. Decidemmo che quell’escursione non faceva per noi e ce ne tornammo con vari lividi e ferite (tipo lo squarcio nella gamba della Prof. Gabriella....) Quando arrivammo misurammo il serpente; Era un frustone di quasi 180 cm, serpente tipico di quelle zone.
Quando sono arrivato ad illustrare questo capitolo il pensiero non poteva tornare che a quell’episodio, e soprattutto al ricordo di splendide vacanze passate in quegli anni con i miei carissimi amici! Tantissime avventure e risate.

ps: Monica, vedi, il serpente con te non c’entra nulla..... ma c’entrerai più in là... non ti preoccupare!

martedì 9 luglio 2013

Ciao Stefano

Non posso certo affermare che era un amico... ma più che un conoscente sì!
Ci siamo incontrati tutte le mattine per un paio d’anni intorno al ‘90 a fare colazione in un bar di amici. Passavamo degli inizi di giornata splendidi, sempre all’insegna del sorriso, spessissimo accompagnati dalle barzellette di Giorgio, un amico in comune, che ci faceva morire dal ridere e così partiva la giornata, sempre in ritardo, noi nel nostro laboratorio e lui nel suo campo allo stadio. Ricordo lo zucchero che metteva nei suoi cappuccini... una cosa spropositata, tanto che la ragazza al banco giurava che prima o poi glielo avrebbe fatto pagare il doppio. Mitica fu una mattina che pioveva a dirotto e io e Carla arrivammo li in Vespa... Entrando nel locale col casco in capo e Stefano insieme ad uno dei proprietari esclamarono all’unisono a Carla: “Ciribiribinkodak” come recitava uno slogan pubblicitario di allora, oppure, alla vigilia del mio matrimonio, entrando mi trovai lui, qualche collega viola e gli amici tutti in piedi sui tavolini e sul bancone che mi cantavano in coro: “Salta l’altare, Maurizio salta l’altare....” Ma a parte queste cose divertenti lo voglio ricordare per sempre come un ragazzo splendido con cui si poteva parlare seriamente di ogni cosa e soprattutto mai di calcio!. Era già ricco e famosissimo, ma con noi era una persona splendida. Lo ricorderò per sempre mentre si faceva il nodo alla cravatta... e dico proprio nodo! come si lega un pezzo di corda! Così, con quel nodo montò sul pulmann che l’avrebbe portato a Roma dal Papa chiedendosi perché ci doveva andare, il suo posto era il campetto in mutande. Da quel giorno ci siamo persi, e la malattia se l’è preso e non ce l’ha più reso. Ancora non ho realizzato quel che è successo.... Intanto però ti saluto con un “Ciao Stefano” e come quella mattina, questa volta brontolo io dicendo: “Ma dove vai... il tuo posto sarebbe su questo mondo.... a correre in mutande su prati verdi” come dicevi!