giovedì 21 marzo 2013

Capitolo XI.


Mangiafuoco starnutisce e perdona a Pinocchio, il quale poi difende  dalla

morte il suo amico Arlecchino.

Il mio Mangiafoco, lo rivedo spesso. E’ sepolto accanto al mio nonno materno! Quella tomba sempre senza un fiore, se non qualche stelo secchissimo lasciato da me la volta precedente. Era un editore Fiorentino. Anzi per essere precisi era siciliano, di Agrigento, ma in seguito all’assegnazione della cattedra avuta da sua moglie a Firenze (era stata mia preside alle Scuole Medie), si era trasferito qua da tanti anni. Come lui ci teneva fortemente a ricordare, era il figlioccio di Sciascia, che era stato amico di famiglia e suo padrino al battesimo. Ho avuto con lui, per anni, un rapporto burrascoso di lavoro. Era un vero Mangiafoco... con quella barba incolta, era un omone con voce possente che quando parlava... strillava. Finito il mio lavoro “precedente” e di conseguenza il mio lavoro con lui, rimasi in ottimi rapporti e ogni tanto facevamo delle lunghe chiacchierate. Così mi insegnò ad amare profondamente la letteratura, il rispetto delle regole nella grammatica, ma non solo quella parlata, bensì quella scritta, facendomi appassionare al mondo della stampa come non mai. Oggi inorridirebbe vedendo il 99% dei libri in circolazione. Mi raccontava anche di Sciasca, Pirandello, che erano frequentatori della sua casa. Tanti aneddoti che conserverò gelosamente nel mio cuore. Un sogno. Ma il suo carattere irascibile e burbero l’avevano ormai allontanato da tutti, famiglia compresa, e così, morì solo! Certo gli hanno fatto una tomba da re.... ma poi, mai, nemmeno un fiore. Lui credeva tanto in me come illustratore e come pittore e, nonostante le mie resistenze, mi fece fare anche qualche libro per bambini e probabilmente, la mia voglia di illustrare Pinocchio e nata anche con lui: Giuseppe De Bono Editore!
Ma Mangiafoco era anche il mio incubo! Da piccolo sognavo spessissimo il burattinaio che mi inseguiva per prendermi e buttarmi sul fuoco! Ricordo come fosse ora, quei sogni e le corse affannate con i risvegli urlanti e di sudore... durarono anni. Una notte, però sognando, decisi che era l’ora di farla finita. Così, quando mi apparve Mangiafoco lo aspettai e gli rifilai un bel pugno sul naso! Cominciò a piangere disperato che non la smetteva più!... Quella fu l’ultima volta che lo sognai!

martedì 19 marzo 2013

Lungo viaggio












E’ andata come è andata.


La nostra vita è trascorsa, così, parallelamente,
come solo una vita normale sa fare.
Ci sono stati alti e bassi. Momenti di felicità assoluta
e di sconforto devastante.
Ci siamo incrociati, presi, persi, trovati, cercati
ed abbiamo camminato in un lungo viaggio chiamato vita.
Ma poi tutto questo, inevitabilmente, terminerà, e,
com’era precedentemente nato, nelle viscere della nostra madre terra,
terminerà la prima parte del nostro fantastico viaggio.
Lì ritorneremo ad esser quello che eravamo.
Atomi, piccoli ed infinitesimamente esistenziali.
Verremo allora risucchiati da minuscole goccioline che ci porteranno direttamente all’aria.
Altri, verranno invece succhiati dalle radici di un piccolo fiore
e se ne andranno nel cielo come pòlline volante.
E lì finalmente, dopo una breve pausa, ci ritroveremo di nuovo.
Ci trasformeremo in vento, e voleremo su mari e cieli.
Diventeremo pioggia per rinfrescare e vento caldo per riscaldare.
Talvolta diventeremo fresca brezza per rinfrescare le guance calde di giovani amanti,
e altre volte sospingeremo l’incerto cammino di anziani viaggiatori.
Poi decideremo, insieme, di fare il gran salto.
E un bel giorno,
così
ci troveremo,
fuori,
nello spazio.
Allora  faremo un bel girotondo sulla luna,
e poi, sù! Una corsa spericolata sugli anelli di Saturno.
Arriveremo là, dove nascono le comete e  ci divertiremo a cavalcare la loro scia luminosa.
Poi guidati da quei magici destrieri, ci ritroveremo su altre stelle.
Incroceremo nubolose fiammeggianti e terribili buchi neri.
Festeggieremo in mezzo a splendide supernove e poi,
stanchi di quel fantastico viaggio, cercheremo un posto dove appartarci e riposare.
Troveremo così un angolo sperduto nell’universo,
che ci accoglierà complice e silente.
Lì finalmente finirà il nostro splendido viaggio e sogno di un amore.
I nostri atomi, presi da un’impeto di passione, si fonderanno gli uni con gli altri,
dando origine ad un lampo immenso.
Un boato.
E da quella luce,
nascerà nuova vita.
Un nuovo tempo,
una nuova storia.
Sarà un nuovo big bang.
Quello
dell’amore.

sabato 16 marzo 2013

Capitolo X.

I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio, e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre
il pericolo di fare una brutta fine.

Questo capitolo è legato, come nella mia storia, alla storia precedente. Il mio incontro con i burattini, cominciò lì! A Roma a Villa Borghese. Rimasi affascinato da quei piccoli pupazzi tutti colorati. Non volevo più andar via. Poi poco tempo dopo a Livorno in piazza della Repubblica, mi capitò per la seconda volta di assistere ad uno spettacolo. Eravamo la, in occasione di un Livorno-Fiorentina che era un evento festivo di non so cosa, e il mio babbo aveva avuto i biglietti in regalo da un giocatore viola di allora. Naturalmente allo stadio non mi portarono e mi lasciarono con la mamma in quella piazza dove c’era appunto il teatrino.
Ne rimasi estasiato e cominciai così a disegnare burattini, che ritagliavo accuratamente e con quei bottoni di ottone morbido, che si usavano per legare i fogli, ci facevo le articolazioni. Bei tempi.
E di burattini, poi, quanti ne ho conosciuti e quanti mi sono stati accanto. Cari amici persi, per colpa di mogli che li tenevano coi fili ben stretti. Altri legati ai fili della convenzione, altri a genitori asfissianti. Uno specialmente: Si chiamava Roberto.
La madre vedova del sud, sempre vestita di nero e con la pezza in capo che sembrava una suora, l’obbligava a interminabili rosari e quindi non poteva mai uscire a giocare come facevamo tutti noi (eravamo alle elementari). 
Anche lui sempre vestito di nero... con quelle scarpe sciupacchiate di almeno 4 misure sopra la sua. Non poteva ridere... e soprattutto doveva fare tutto quello che lei voleva... persino dire quello che lei gli ordinava di dire. Gli unici suoi momenti felici erano quei 300 metri che lo separavano dalla scuola a casa sua. Piano piano, poi, l’ho visto spengersi. Non parlava più. Io provavo a dialogarci quando lo incontravo per strada. Ma lui scappava... con gli occhi sbarrati. Lo rinchiusero in manicomio (allora c’era e chi vi entrava non vi sarebbe più uscito, se non devastato) che non aveva ancora 16 anni... E’ un ricordo che dopo tantissimi anni mi crea ancora dolore.

Me lo sono sempre immaginato come un burattino vestito di nero con dei fili tenuti da una strega terribile... altro che Mangiafoco! Ovunque tu sia... questo disegno è per te!

venerdì 8 marzo 2013

Capitolo IX.

Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini.

Il tetro dei burattini... e quanti burattini ho visto nella mia vita. Mi sono passati accanto chiamandoli, talvolta amici, talvolta parenti. Tutti ligi al dovere, alle regole, alle convenzioni. Sempre pronti a lasciarsi indirizzare dalla massa. Esponendo opinioni che nascevano, non dalla loro testa, ma da quella di altri. E i loro fili, che tante volte ho cercato di convincerli a tagliarli... ma niente. La paura per loro, di tagliare quel cordone ombelicale che li teneva ancorati al sistema era insormontabile. Peccato vederli ora passare nei loro macchinoni e con mogli zoccole al seguito. Mi fanno pena!
Ma il teatro dei burattini, mi ricorda anche un fatto avvenuto tantissimo tempo fa. E’ uno dei miei primi ricordi. Avevo circa 4 o 5 anni e facemmo una gita a Roma con nonni e genitori. Per farmi contento mi portarono allo zoo di villa Borghese. Quello che mi colpi, non furono certo gli animali. Mi portavano spesso allo zoo delle Cascine a Firenze, soprattutto il lunedì mattina, quando mio padre non lavorava. Lì c’era un piccolo teatro dei burattini! Rimasi folgorato! Ma quello che mi colpì maggiormente, fu quello che successe mentre guardavo lo spettacolo.
Tutto preso da Arlecchino e Pulcinella che se le davano di santa ragione avevo iniziato un’esplorazione profonda delle cavità nasali, cosa che non passò assolutamente inosservata ai miei genitori, che si arrabbiarono non poco. Devo dire, così mi raccontano, che era un mio brutto viziaccio. Li accanto c’era un Custode dello Zoo che stava, credo di ricordare, spazzando: vedendo quella scena mi disse con voce perentoria; “Se non ti levi le dita dar naso te faccio magnà dall’orso!” e si girò verso la gabbia dietro di lui, rivelando un enorme orso marrone!
Rimasi pietrificato... ho ancora una foto di quei momenti a testimonianza di quell’attimo terrificante.
Ebbene... è inutile stare qui a raccontarlo, ma le dita, nel naso, non le misi più!

venerdì 1 marzo 2013

Capitolo VIII.

Geppetto rifà i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per
comprargli l’Abbecedario.

L’abbecedario non ricordo proprio di averlo avuto, ma il sussidiario sì! Mi ricordo bene il primo libro ricevuto alle elementari. Però mi colpì molto di più quell’allegato con la copertina rosa (per questo il mio abbecedario è di quel colore!) in cartonato e con i fogli spessi! Non era un libro normale, ma una serie infinita di cartoncini da staccare, punzonati, che rendevano l’operazione facile ai bambini, e, come piccole carte da giuoco, sopra c’era un disegno e sotto la lettera corrispondente. Quanto ci ho giocato! La maestra non ce li faceva usare, e quindi quelle letterine erano tutte per me... e cosa non ci ho fatto! Naturalmente il primo obiettivo era “migliorare” quei disegni e allora, armato di santa pazienza e delle mie inseparabili matitine, cominciavo con la mia, inesorabile, miglioria artistica. Poi diventavano calciatori... tutte le A contro le D, sul tavolo di salotto, cominciavano interminabili partite all’ultimo sangue. Altro che Playstation! A volte invece, dato che il mio salotto di allora aveva una fila di mattonelle diverse, tutte disegnate, a mezzo metro dal muro e io le usavo come pista ciclabile! Così quei cartoncini diventavano ciclisti... e la M vinceva sempre! altre volte la V, ma la M era migliore! Ma quando facevo le battaglie davo però il massimo! L’esercito delle Maiuscole contro l’esercito delle Minuscole! Bellissimi pomeriggi passati con e senza amici e, soprattutto, senza tecnologia alcuna. Come mi fanno pena i ragazzini contemporanei tutti presi nel loro giochi elettronici, che hanno sostituito la fantasia con riflessi e logica. Bah!
L’unico problema era la fine del gioco... e ora chi raccattava quelle innumerevoli tessere? Il babbo e il nonno erano al lavoro... niente, La mia sorellina... no, stava ancora nel box. Mia mamma stava cucinando, e poi... ci sarebbe stato da sentirla. La nonna, manco a parlarne! Se solo glielo avessi chiesto le avrebbe bruciate tutte! (chi l’ha conosciuta sa che non è una battuta!). E così, a malincuore, a rimettere a posto, toccava sempre a me! “maremma maiala”... e via uno scapaccione gigante: “non si dicono le parolacce!”. “Ma lo dite sempre, voi!”... scapaccione bis.. “e questo casino mi tocca metterlo a posto a me!”... scapaccione tris... “Non si dice Casino... è una parolaccia”... e vabbè!