venerdì 28 ottobre 2011

Feronia


Quando decisi di intraprendere questo progetto sulla mitologia etrusca, circa un anno fa, non immaginavo minimamente cosa avrei fatto. La prima dea che venne fuori fu Feronia, dea delle selve e delle sorgenti. Feci una veloce ricerca e non mi dette grande soddisfazione.

Passai allora a tutto il Panteon, partendo da Turan, la Venere etrusca che avevo già dipinto una decina d’anni prima. Vennero fuori, poi, 18 disegni di altrettanti dei che rappresentavano, ognuno, le varie situazioni o emozioni di ogni essere umano.

Pochi giorni fa, ripresi in mano, un piccolo brano su di una libellula, una storia che avevo scritto tanto tempo fa e che rappresentava metaforicamente il senso della mia pittura. Sarebbe stato l’accompagnamento perfetto al mio primo quadro “volante”. Poi però, il tempo riesce sempre a nascondere tante cose, e rimase nel dimenticatoio, almeno fino al giorno in cui l’ho trasformato in poesia e pubblicata sul blog.

Ma un tarlo mi arroventava. Nella ricerca fatta sugli etruschi: la libellula c’entrava!

Eccome!

Ma non ricordavo ne come, ne dove! E’ stata una bella faticata, anche perché le varie divinità non erano uniformi nelle varie città-stato etrusche, ma variavano di città in città, cambiando nome e forma. E i testi, almeno quelli riusciti ad essere tradotti, erano tanti e contrastanti.
Ma una costante c’era: La dea Madre. Esattamente quella ricevuta in eredità dalle prime civiltà. La dea della fecondità, e anche la dea dell’amore. Presente in tutte le religioni susseguitesi nei secoli, è presente anche nella mitologia etrusca, e qui prende varie forme e nomi. Mae è forse il primo e più antico, poi variatosi in Ethausva. E qui le cose cominciavano a tornare. Ethausva era anche la dea che aiutò Tinia, il padre degli dei a partorire dalla sua testa Menrva, la dea delle arti e della sapienza (e qui la metafora dell’idea e dell’ispirazione è fondamentale).
La cosa si faceva interessante. Cominciava ad avere un senso la presenza di questa dea nei miei quadri.
Poi l’incontro fulminante con Feronia, un altro dei suoi innumerevoli nomi. Fusa alla mitologia greca di Persefone, oltre a dare la vita alla dea, Feronia usciva dopo un periodo di freddo e buio  dalle fonti per portare amore, fecondità, e per far rinvigorire la natura.
E veniva sotto forma di libellula.
Si era chiuso il cerchio. La mia libellula riappariva dopo tanti anni e riportava gioia e fecondità creativa.
Non voglio andare oltre! Penso soltanto che il fato, spesso si prende gioco di noi. Ci semina di indizi la strada, che però noi, sovente, non vediamo. Ci porta verso sogni irrealizzati, verso ricordi passati e verso desideri da realizzare. Sta a noi coglierli.... e quando ci perdiamo, ci appare la libellula e tutto diventa più facile.

Maurizio


Feronia


Esisto da sempre! La mia gente mi venerò fin dalle origini dell’uomo. Mi amarono, mi supplicarono e mi temettero! Dea fui delle sorgenti, della terra, della fecondità e mi dettero mille nomi! Famosa fui come Persefone che portava le stagioni, Ethausva, che fece nascere Menrva dea delle arti dalla testa di Tinia, re degli dei. E fui chiamata anche Mae dea della terra. Ma il mio nome Feronia fu il più venerato, quando, sotto le spoglie di libellula, portavo fecondità nel mondo. Portavo l’amore. Tanto che nei secoli mi costruirono templi che erano i più venerati e nemmeno l’avvento di nuovi dei riuscì a distruggere il mio nome.


martedì 25 ottobre 2011

Lenta mente













































14 artisti contemporanei in mostra.
Catalogo con testo critico di Cristina Olivieri.
Mostra a cura di Giovanna Cardini, Laura Giunti e Cristina Olivieri.

Opere di: Carla Adamo, Brunella Baldi, Francesco Baronti, Nicolò Orsi Battaglini, Claudio Bimbi, Giada Fedeli, Floriana Gerosa, Iain Antony Macleod, Andrea Mancini, Max Mazzoli, Dario Palermo, Maria Silvestri, Laura Troiano, Maurizio Vinanti.

Merlino Bottega d'Arte, Firenze. 5 - 26 novembre 2011

Appare come un problema invisibile, una doppia verità: tempo e azioni si legano all’esistenza di ognuno di noi, tanto che possiamo cogliere il momento giusto, opportuno (Kairòs), o lasciarlo fuggire. A volte è l’istante, e vediamo nel principio di "causa-effetto", il concatenarsi delle azioni che provocano altre reazioni. Il tempo influisce tra gli esseri viventi di questa terra, tra azioni, sentimenti e stati del pensiero.
Spazio e tempo condizionano la nostra vita, inducono le nostre abitudini, le trasformano.
L’equilibrio sta tra la nostra conduzione e i fattori esterni che possono influenzare le nostre azioni nella scansione del tempo. Quattordici artisti si cimentano nel linguaggio espressivo a loro più congeniale e oggi raccontano un tema che è parte integrante della vita: il tempo.
Attraverso la pittura, la fotografia, la scultura, il video, le opere qui esposte interpretano soggetti, emozioni e concetti che conducono l’osservatore a una riflessione dell’agire con lentezza.
Il filosofo Remo Bodei sostiene che "Chi vive con ritmi rilassati sostanzialmente capisce di più il mondo". Invece la fretta è un modo assolutamente dispersivo di bruciare il tempo dell’esistenza.
"Lentamente" è per noi un movimento rigeneratore, è la ricerca di una stato di quiete consapevole, è relax ma è anche un susseguirsi, un ripetersi come il ciclo delle stagioni, come la burocrazia che rallenta le pratiche e fa accumulare le carte.
"Lentamente" è l’approccio dei rapporti umani, della conoscenza, di uno stato emozionale e fisico che nel tempo si dispiega e varia.
Siamo alle Murate, le ex carceri di Firenze, anche il luogo ci appare evocativo e simbolico. Perché il tempo e i ritmi di chi ha attraversato questi spazi doveva affluire con estrema lentezza tra le mura di questi edifici. Oggi tutto ciò che è slow è assimilabile al benessere, al gusto di assaporare qualcosa nella calma, l’energia dei sensi che si addice di più all’uomo, alla sua natura dinamica, ma pur sempre desiderosa di esperienze che il tempo scandisce e ripropone con lentezza.
In questa collettiva alla Merlino Bottega d’Arte trovano spazio le opere di artisti toscani e non solo. Opere e stati d’animo legati al tema di un andamento "lento" si moltiplicano e giungono rielaborati sotto forma di immagini in cui la lentezza è declinata nel linguaggio cinematografico reso in pittura, per passare alla scultura, ai collage, alle illustrazioni: il tutto, fate attenzione, da assaporare lentamente. 
Cristina Olivieri

sabato 22 ottobre 2011

Mediocrità

Cercare fra le corsie dei supermercati qualcosa che non sia medio è impossibile. Provate a trovare uno spazzolino che non sia a setole medie. Una mela che non sia di misura media; ne troppo piccola ne troppo grossa. Il pane o mezzo o un chilo, tutte le altre pezzature no. Il vino? ne mezzo litro ne un litro: così se ne vendono 750cl e si sta nella media.
La cosa che però mi addolora maggiormente, sono i colori.
Qualche anno fa, entrare nella mia “bottega di belle arti” trovavo un’infinità di scelta. Pigmenti purissimi. con colori straordinari, di una varietà infinita.
Poi però la “medietà” ha colpito anche loro. Giallo di cadmio? E’ rimasta solo una gradazione: quella scura! le altre due sono fatte semplicemente aggiungendo del bianco all’impasto! E lo dicono pure! E questo vale per tutte le tonalità di colore. C’è una tonalita di arancio fatta con pigmenti ferrosi, è stata sostituita dal caro, vecchio minio. Secoli di ricerca, perfezionamento, tecnica... andati a puttane.
Ma anche i pennelli...solo misure intermedie. Le matite, ormai solo punta morbida.
E non contiamo tutti quei prodotti che i “medi” non usano e che sono spariti irrimediabilmente.
E più grave ancora, non si producono più medicine che non rientrano nella medietà delle malattie comuni. E non parliamo dei portatori di handicap... considerati da tempo fuori della media.
Fosse soltanto un problema di “medietà” per le cose lo potrei anche capire, in fondo si riducono i costi (dicono, anche se non ne sono tanto convinto). Il problema è che (Dico con forza “QUASI”) tutti, abbiamo uniformato il cervello alla media nazionale! Ci fanno credere quello che vogliono e ci indirizzano nella “media” i nostri comportamenti. Fa effetto che la parola “media” venga anche usata per indicare il primo mezzo di convinzione forzata.
Pensiamo per conto terzi.
E non solo non lo capiamo... ma la nostra medietà ci impedisce di capirlo.

Maurizio

venerdì 21 ottobre 2011

Lentamente

Si sta avvicinando il giorno della mostra Lentamente. Ormai è tutto pronto, I quadri fatti, il video con le poesie di Carla pure. E' stato un impegno notevole, anche perché riuscire a trovare tre stadi della lentezza non era facile, ma, purtroppo, quando mi intestardisco, non sono contento finché non ho raggiunto lo scopo... ed è stata dura. Sono sicuro che sarà una bella manifestazione, anche perché il posto dove si svolgerà è stupendo e  le persone che lo curano, altrettanto. E poi per la prima volta espongo con un caro amico... per cui non può che essere un'ottima cosa. Vedremo!, il 5 di Novembre alle Murate. I prossimi giorni pubblicherò i dati della mostra.

mercoledì 19 ottobre 2011

A Teatro



Di sicuro era di lunedì. Dato che il mi’ babbo faceva il parruchiere e il lunedì era il suo giorno libero. E quel giorno come tutti i lunedì, cascasse il mondo, era dedicato a me; mi faceva montare sulla “bianchina” e via, a giro per le colline fiorentine, a caccia di prati dove giocare a pallone. Un lunedì mattina però fu diverso, la direzione non era la stessa, andavamo sicuramente verso il centro di Firenze, e più precisamente, verso i Lungarni.
Infatti, parcheggiammo proprio lungo l’Arno e mi disse: “Ti porto da mio cugino!”
Andammo in una strada parellela  e davanti ad un portone immenso c’erano dei camion con un viavai pazzesco. Ci infilammo tra quella gente ed entrammo dentro a quell’antro immenso!
Rimasi di sasso. Credevo di sognare. Davanti a me c’era una parete enorme piena di dorati e sfavillanti geroglifici. C’erano tutti colori possibili e immaginabili e li potevo anche toccare. C’erano anche due leoni d’oro con le ali che non m’incutevano terrore... ma meraviglia. E poi, vestiti, armi, costruzioni di ogni tipo... stoffe.... corde... luci. Credevo di sognare, e... tremavo dall’emozione.
Il cugino del babbo era il direttore delle luci al Teatro Comunale di Firenze, o, più precisamente, lo sarebbe divenuto un bel po’ d’anni dopo, allora era un semplice caposquadra. Aveva chiesto di portarmi quel giorno perché avrebbero allestito una nuova opera e tutti gli operai sceneggiatori al lavoro mi avrebbero sicuramente incuriosito... visto che disegnavo sempre!
Infatti passato il magazzino, entrammo in teatro, sotto il palco. Li, i pittori disegnavano su una parete enorme una gigante nave da guerra, e al che mi tremarono le gambe. Poi fiori, alberi e casette strane che sembravano di carta. In un angolo due persone vestite in modo “ridicolo” agli occhi di un bambino, con la donna con la faccia completamente bianca, mentre delle sartine sembravano cucirgli addosso quegli abiti, quelli in costume canticchiavano strillando.
Luci che si accendevano e si spegnevano. Qualcuna che scoppiava e ci faceva saltare dallo spavento. Rumore di martelli, seghe, urla concitate. Sembrava d’essere al mercato della fantasia. Era un mondo fantastico. Mi rimarrà sempre tutto in mente, compreso gli odori. Un misto di legno, tessuti umidi e ammuffiti, colle, vernici e saldature. Sarà sempre un ricordo indelebile nella mia mente. Forse è anche li che i miei quadri sono nati. In fondo il mio mondo sognante è pura immaginazione, come quella degli “artisti” che vidi lavorare su quel palco. I colori erano proprio quelli. Gli omini volanti no... sono un’altra storia...
Questa rimarrà una tappa fondamentale della mia vita.
Solo parecchi anni dopo tornai al comunale, sempre invitato dal cugino. Alle prove generali delle varie opere c’ero sempre e li nacque l’amore per Puccini, e la sua casa a Torre del lago era per me un posto fantastico, dalle cui mura uscivano dolci melodie. Addirittura mi capitò di vedere per 5 serate consecutive la Butterfly,  che era stato il mio sogno da bambino (facevo parte della claque, ma mi perdevo sempre, non nella musica, ma nelle scenografie).
Poi lo sceneggiato su Puccini mi fece definitivamente adorare quel mondo, e anni dopo, per un pelo, non ne feci parte come scenografo. Ma solo perché la pittura ne aveva preso il sopravvento.
“Un bel dì, vedremo
levarsi un fil di fumo sull'estremo
confin del mare.
E poi la nave appare
e poi la nave è bianca.
Entra nel porto, romba il suo saluto.”

Maurizio (Firenze 1 maggio 2009)

L'abbraccio












Di mille tipi ce ne sono,
d’amore, affettuosi,
materni e incoraggianti,
ma anche lussuriosi,
lascivi e poi carnali.
E ne puoi dare anche di romantici,
intensi e riscaldanti.
Si usano per salutare e ritrovarsi.
per obbligo e per gioia infinita,
per amicizia o per cordoglio.
Non costano niente
e sono semplici da dare,
calorosi o freddi,
uniscono anime distanti.
Ma un abbraccio mai dato
è la tristezza fatta gesto.
Il rammarico per non averlo fatto,
per non aver colto il momento giusto.
Fra migliaia di abbracci dati e ricevuti,
uno soltanto ti resterà nel cuore:
desiderato ardentemente , o solo sognato.
Un abbraccio: Quello mai dato.

Maurizio

venerdì 14 ottobre 2011

Thalna e "fagiolino"


“Thalna
Dalla notte dei tempi io sono stata colei che protegge le nascite. Ogni bimbo nasce grazie a me. Mi hanno chiamato in mille modi: Thanur... Thanr... Ethausva... ma ce n’è uno di cui andavo particolarmente orgogliosa. Eilethyia, che ha dato origine alla vostra parola “Letizia”, come quella che io portavo, con amore, in ogni casa.”




… e siccome niente nasce mai per caso e le idee sono sempre frutto del fato che te le inietta all’improvviso e senza preavviso, a luglio, un venerdì mattina, in seguito ad un progetto a cui stavo lavorando da tempo mi imbatto in questa dea: Thalna.
Certo è una divinità comune nella storia, dalla Dea Madre fino ad arrivare alla Madonna.
Sono stati eretti templi immensi in suo onore e tutt’ora si fanno chiese. Ma, i nostri avi (Etruschi) usavano delle immaginette della dea che mettevano nelle stanze delle future spose e future madri. Servivano per aiutare e accompagnare la nascita dei bambini e far si che tutto fosse andato per il meglio.
Tornando all’inizio, non appena finito il disegno sul mio blocco, quindi, espletato il mio “dovere” di artista, ebbi una notizia straordinaria. Si stava preparando a venire nel nostro mondo “fagiolino” e, il mio quadro, l’avrebbe accompagnato per sempre.
Sarà una combinazione, o forse no!. Ma il destino ha voluto che le due cose fossero concomitanti e perciò, ne sono sicuro, Thalna accompagnerà il suo cammino.
E poi, dato che uno dei nomi con cui i nostri avi chiamavano Thalna è Eilethyia (parola etrusca assorbita dal latino e diventata “letizia”) sono sicuro che porterà gioia felicità e letizia ai suoi splendidi genitori.

Maurizio

giovedì 6 ottobre 2011

La libellula


Ricordo ancora perfettamente un giorno,
a disegnare tra le tende di un campeggio.
Un blocco da disegno tra le mani,
ed un mondo colorato da creare.

All’improvviso sulla matita colorata
che tenevo in mano ferma e immobile
per l’indecisione sul da farsi,
si posò una splendida e bellissima libellula.

Lì rimase un attimo che durò in eterno.
Era spendida, luminosa e scintillante,
i suoi colori passavano in rassegna
l’intera gamma dell’arcobaleno.

Mi fissò qualche secondo
con quei suoi occhi giganteschi.
Poi come una splendida saetta,
volò a qualche metro all’improvviso.

Dell’ubiquità sembrava avesse il dono,
era in ogni posto all’improvviso.
Volteggiava, leggera, come in una danza
finché si fermò vicino alla mia testa.

Lì rimase ferma e immobile nel cielo,
come se avesse avuto voglia di sfidarmi.
Il sole che brillava attraversando le sue ali
le faceva splendere, e riflettere ogni colore.

Poi dopo qualche attimo d’incanto,
prese il volo e mai più la vidi.
Il suo ricordo però si legò nella mia mente,
e il tempo non riuscì mai a cancellarlo.

Ieri, dopo anni passati a vivere la vita
vedendo una libellula sull’Arno,
mi è tornata in mente quella vecchia “amica”
che per un attimo accompagnò il mio viaggio.

Il ricordo di quell’attimo vissuto,
risveglia in me tutto il momento.
L’emozione che lei mi aveva dato.
ed il ricordo dolce dell’incontro.

Maurizio