venerdì 31 maggio 2013

Capitolo XVIII.

Pinocchio ritrova la Volpe e il Gatto,  e va con loro a seminare le quattro monete nel Campo de’ miracoli.


Quand’ero piccolino, alla fine della scuola, venivo spedito in campagna dalla zia Maria. Abitava in un piccolo complesso di case ai confini tra Firenze ed il Chianti, costruito accanto alla Villa Medicea di Lappeggi. Li ho passato tante bellissime estati, fatte di corse nei campi, corse in bicicletta su e giù per la strada circondata da cipressi e cicale, e interminabili partite a pallone che gli abitanti del luogo, quasi tutti contadini, avevano fatto per i proprio ragazzi... e udite udite, per fortuna, fra i tanti bambini... non c’era nemmeno una frignante bambina... Un paradiso terrestre! L’unica nota dolente era il dover andare, obbligatoriamente, a prendere l’acqua dal pozzo che c’era sulla strada, dato che di acqua corrente, in casa, in quelle zone, non se ne parlava proprio.
Un pomeriggio, che ricordo come se fosse ieri, stavamo esplorando sospettosi un campo al di la della discesa che portava verso Baratro, e che era per noi la frontiera dell’ignoto (e anche frontiera invalicabile... se ci avessero scoperto...). Lungo la strada, sotto il margine c’era un campo brullo dove ogni tanto vi trovavamo cose che la gente buttava via, e con quelle ci costruivamo ogni possibile cosa. Quel giorno lì, c’era un enorme sacco della nettezza completamente colmo. Con circospezione ci avvicinammo, e con dei rami, rompemmo il sacco e, udite, udite, da quello stroppo uscirono soldatini... si, quelli piccolissimi della Bontempi! Ce n’era un esercito, anzi che dico.... mille eserciti completi. Chissà come vi erano finiti... non lo sapevamo. Probabilmente, visto che all’Antella (Il paese più grande li vicino) c’era una fabbrichetta di stampi plastici,  qualcuno, direi bravo, aveva “buttato” gli scarti di lavorazione venuti male. Infatti quei soldatini non erano perfetti... ma erano tanti... Ne facemmo incetta e tutta l’estate Lappeggi fu invasa da quei minuscoli soldatini che erano finiti in ogni angolo. Fu un’estate fantastica. E quello diventò, e soprattutto è restato, per tutta la mia vita... “il campo dei miracoli”!

giovedì 30 maggio 2013

Capitolo XVII.


Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso.

Madonna... i becchini! Quando ero piccolo i Fratelli della Misericordia, quando avevano a malapena dei pulmini Fiat adattati ad ambulanza, se ne andavano in giro con quella veste nera, incappucciati, e facevano una paura bestiale. E io non ne ero immune. Pensavo che, chi portavano via.... poi non si rivedeva più.
Poi penso ai Dotti, Medici e Sapienti, ma qui sarebbe bene stare zitto, altrimenti scatenerei una guerra, visto l’alto numero di quelli che mi circondano, con i loro “Se fai così...”, “Dovresti fare...”, “Te l’avevo detto.....” e i “Guarda me....”, ma stendiamoci un velo sopra.
E intanto a Pinocchio cresceva il naso, e quante volte, dopo una piccola bugia io facevo i salti mortali per guardarmi di profilo il naso per controllare che fosse tutto a posto... Allora come adesso, ho sempre creduto alle favole, e, a differenza di quello che pensano i Dotti Medici e Sapienti, son sicuro che sia un pregio. Gli lascio volentieri la tristezza del pessimismo. La penso esattamente come il grande Tonino Guerra: “L’ottimismo è il profumo della vita”!

domenica 26 maggio 2013

Capitolo XVI.


La bella Bambina dai Capelli turchini fa raccogliere il burattino:
lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto.


La Fata è la mia musa! lo è sempre stata. Sicuramente! Come per Pinocchio era la guida, per me è stata una fonte inesauribile di idee e di progetti. Certo, anche di sogni irrealizzabili. Ma soprattutto la guida principale nell’arte. Cominciò così, per un desiderio di comunicare il sogno di un “volo” che nella tarda estate del ‘78 i miei primi personaggi presero il volo... ma, purtroppo, li si fermarono, e rimasero in un cassetto. Fu parecchi anni dopo, che maturò in me la decisione che avrei fatto il pittore e dopo un misero inizio come “pittore realista”, nel periodo in cui abitavo nella Pieve di San Martino, che tornò alla mente quel disegno dimenticato e, preso dalla voglia di ritrarre un volto mai dimenticato che la mia arte riprese il volo. Certo, non fu facile, passando attraverso feroci critiche e sorrisi beffardi, ma la mia Fata\musa, non mi faceva demordere. Anzi insistevo ancora di più. Tanto che un mio “Omino” si trovò nuovamente sospeso nell’aria, ma questa volta il quadro non rimase nascosto, e vinse addirittura il Premio Italia per le arti visive. Era un nuovo inizio, e la Fata, come sempre, nel mio cuore non mi abbandonava. E’ stato un crescendo, tanto, che di li a poco, quel mio splendido hobby diventò una professione fino a farmi arrivare al punto in cui sono arrivato. Mancava comunque qualcosa. Era un bel quadro sulla Fata... e quante volte, scrutando nei ricordi, ho cercato di realizzarlo. Quanti ne ho buttati via...
Poi la “vocina” della splendida fata mi disse di illustrare Pinocchio e così è cominciato questo splendido lavoro. E mi ha seguito passo passo, accompagnandomi nella crescita di queste opere, fino al raggiungimento finale. Devo ringraziarla profondamente. Senza questa figura straordinaria tutto questo non sarebbe stato possibile. Grazie bella Bambina dai capelli turchini. La mia musa... da sempre!

sabato 25 maggio 2013

Il cervello


Leggendo qua e la, mi sono imbattuto in una ricerca scientifica che ha dimostrato che il cervello non si limita allo spazio della testa, ma prosegue nel corpo fino allo stomaco e addirittura ai piedi. Lo sapevo! L’ho sempre pensato e c’ho anche i testimoni. Pensavo da sempre che l’umanità fosse divisa in razze, ma a differenza degli stronzi che credono che sia dovuta al colore della pelle o alla differenza di provenienza, io penso che sia dovuta al posizionamento del cervello all’interno del corpo umano.
Perdonatemi se sarò scurrile in alcuni momenti, ma non saprei che altre parole usare, d’altra parte sono fiorentino, e qua, così si parla.
C’è chi il cervello ce l’ha nei piedi e nelle gambe. Sono quelli che vivono di corse, salti, calci. Quelli che passano la loro infanzia a rincorrere un sogno di un successo sportivo, che raramente avviene. Continueranno imperterriti ad inseguire un sogno ormai svanito e logoreranno il loro fisico in sforzi inutili che li allontanerà sempre più dalla realtà. Purtroppo passeranno il resto dei loro giorni a rincorrere inutilmente la vita senza addirittura capirne il perché. D’altra parte il cervello è molto lontano dalla loro testa.
Ci sono poi quelli che il cervello ce l’hanno nel cazzo.
Sì! Proprio lì!.
Sono quelli che inseguono prede per tutta la vita, dispensando ogni tanto qualche schizzetto di liquido organico, col quale se ne va, a poco a poco anche la loro materia cerebrale. La loro intelligenza è inversamente proporzionale al vanto della conquista delle loro prede. E si ritroveranno, inesorabilmente, svuotati... in tutti e due i sensi.
Quelli poi che il cervello ce l’hanno nel culo e si possono dividere in tre specie: i delinquenti, i politici, e quelli di cui parlavo all’inizio e che ne sono gli interpreti principali: i razzisti. Tutti questi si che sono uomini di merda.
C’è chi invece il cervello ce l’ha nelle braccia e nelle mani. Convinto fortemente dal fare a tutti i costo. Passa la vita a “fare”... qualsiasi cosa. Gli basta tenere le braccia impegnate e il tempo gli passa davanti inesorabile, senza che le sue mani riescano mai ad afferrarlo... e, purtroppo mentre quello  sempre più si allontana.
Qualcuno, invece il cervello ce l’ha proprio nella testa. Sono i ragionatori. Quelli che devono organizzare tutto. Quelli che ragionano fittamente di tutti i pro e tutti i contro che ci possono essere. Sono un PC ambulante... e ogni tanto si impallano, e hanno bisogno di essere resettati. E come i PC diventeranno vecchi e funzioneranno sempre peggio.
Poi, per fortuna, c’è chi il cervello ce l’ha nel cuore, e tutto il resto viene da sé.
Amano profondamente ogni cosa che fanno, e tutto quel che fanno, è per donarsi agli altri. Probabilmente ce ne vorrebbero di più di persone così al mondo. Le cose andrebbero sicuramente meglio. Ma, purtroppo è un’utopia. Di questa razza ce ne sono pochi, e, in ogni comunità, si possono contare sulle dita di una mano. Ma non dispero. In fondo l’essere umano su questa terra non c’è da molto tempo e avrà tempo per crescere.
Dimenticavo. Ci sono anche quelli che il cervello ce l’hanno nel portafogli. Addirittura fuori da corpo... ma non ne vale la pena perder tempo con loro.

venerdì 24 maggio 2013

Capitolo XV.


Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande.


Lutto nazionale. Quando arrivai a questo punto, mi sentii morire. Pinocchio non ci poteva lasciare. Anche vedendo che il libro conteneva tante pagine, ed ero sicuro che sarebbe guarito, non ci potevo credere. Anche il Collodi probabilmente ci ragionò molto sul fatto. Infatti, fu grazie a una piccola sollevazione popolare, che ritornò sui suoi passi e desistette dal farlo morire. Infatti a questo punto arriva...... ma questo succederà poi. Parliamo invece della Querci a grande. Io ho usato quella che è comunemente conosciuta come la Quercia di Pinocchio a Capannori in Provincia di Lucca. Ora, sappiamo che non poteva esser quella (ragionando fantasticamente) poiché la storia si svolgeva tutta nei dintorni di Sesto Fiorentino. La Quercia grande esisteva realmente ed era nel podere della villa bel Riposo, di proprietà dei Lorenzini. Giovannina, era governante di casa e ”amichetta” di Collodi, e l’aveva ispirato nella costruzione ella storia pinocchiesca, ed era stata a sua volta presa a modello per la fata turchina; Ella  aveva un terrore profondo di quella quercia sotto la quale il Collodi amava scrivere le sue storie, pensava che lì la gente veniva rapita dagli spiriti delle fate e moriva. E così la fine di Pinocchio non poteva che svolgersi lì. Nel ‘900 quella quercia crollo... e quella di Capannori, diventò la quercia di Pinocchio!

martedì 7 maggio 2013

Capitolo XIV.



Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante,
s’imbatte negli assassini.

Rimanendo in quegli anni, (‘60) gli “assassini” o l’”omo nero” erano il deterrente terribile che i genitori usavano per far fare i bravi ai bambini. Ed io, che ero un bel birbone, non ero stato esentato da quella minaccia. Anzi. Ero convinto che gli assassini abitassero in un ripostiglio che avevamo a casa; era in un corridoio ceco,: lo “stanzino”, come lo chiamavamo. Quando passavo di lì provavo sempre degli strani brividi. Mi ha sempre fatto impressione. Ancora adesso, nonostante siano più di vent’anni che non abito più in quella casa, il ricordo di quello stanzino mi procura un certo non so che. Venendo all’illustrazione, o quadro, come lo volete chiamare, è nato il giorno della mia ricognizione a Collodi. Stavo facendo foto, qualcuna sapendo già cosa fare, altre riprendendo così, scorci del paesino. Mentre fotografavo le vecchie scuole, mi è passata davanti Nadia, autrice principale della ricognizione collodiana, tutta vestita di nero.... ed è stato un lampo. Quella scena, fotografata per bene, sarebbe stata immortalata nell’inseguimento di Pinocchio. I quadri mi nascono così all’improvviso e senza un perché. Si chiama ispirazione proprio per quello, e so già, purtroppo, che qualcuno mi dirà: “Grazie! Agli assassini mi hai paragonata.....”  ma non era quella l’intenzione!

domenica 5 maggio 2013

Capitolo XIII.


L’osteria del «Gambero Rosso».


Il lunedì, notoriamente giorno di riposo dei parucchieri, montavamo tutti sulla bianchina bicolore bianco\amaranto, e partivamo verso la Certosa del Galluzzo. Il mio posto era nel portabagagli dietro, e guai a chi me lo contendeva. Credo proprio che nessuno l’avrebbe potuto fare, dato che lo spazio era esiguo e io, ero molto piccolo. Arrivati a destinazione c’era il ristorante di zio Renato. In realtà era lo zio del mio babbo, e il lunedì, spessissimo, andavamo a pranzo da lui. Il ristorante allora era la classica bettola anni ‘60. Tutto imbiancato a calce col cortile polveroso e le sedie di tubolare con la seduta di fili di plastica. C’entra con Pinocchio certamente, anche perché all’ingresso c’era una grandissima stampa in bianco e nero di un gigantesco gambero che mio nonno aveva colorato, e fatto diventare di un bel rosso vivo.... mi è sempre rimasto impresso. Avrei voluto mettere quel vecchio ristorante nelle mie illustrazioni, ma, non avendo nessuna foto, e visto che adesso è stato completamente stravolto trasformandolo in un lussuoso Relays, non riuscivo a riprodurlo. I tempi cambiano. Ho provato tante volte a riprodurlo. Ma niente. Destino ha voluto che un giorno fossi invitato a casa di un amica per fare un quadro e la sua casa è identica a quella dell’originale ristorante. Così il passo è stato obbligato. E’ stata una folgorazione e quella casa è diventata la “mia” osteria del Gambero rosso!