lunedì 16 dicembre 2013

Se ne avessi avuto il coraggio

Se ne avessi avuto il coraggio,
te l’avrei detto,
non una, ma cento,
centomila, un milione di volte.
Poi ti avrei presa per mano,
se ne avessi avuto il coraggio,
e sarei volato via con te,
lontano.

Se ne avessi avuto il coraggio
ti avrei ritratta ogni giorno,
cercando toni e colori
nel tempo che passava.
Tratteggiando, sfumando,
cercando una luce
che brillava.

Se ne avessi avuto il coraggio
ti avrei regalato il più bel fiore del mondo.
Avrei cercato in ogni luogo,
il posto magico dove farti riposare.
Avrei voluto, sognato,
anelato, ogni singolo momento.

Se ne avessi avuto il coraggio
non ci sarebbe stato nessun treno
incapace di percorrere
le nostre infinite distante.
E, rotaia dopo rotaia,
sarebbe stato possibile incontrarti.

Ma il coraggio non c’è stato,
e il rimpianto, ha radicato ferocemente
nel terreno soffice del tempo.
E così, silenziosamente, sognando.
Fantastico...
ciò che sarebbe stato,
se il coraggio l’avessi avuto.

mercoledì 27 novembre 2013

Capitolo XXXIII.

Diventato un ciuchino vero, è portato a vendere, e lo compra il Direttore di una compagnia di pagliacci, per insegnargli a ballare e a saltare i cerchi:ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo.


Faccio un piccolo salto avanti nei capitoli, ma dato che oggi è il compleanno di una cara persona, mi sembrava doveroso scrivere oggi di questo capitolo. Ma facciamo ora un passo indietro. Detto precedentemente di un 14 di agosto a Viareggio sotto un ombrellone, quando Nadia mi mise il tarletto di un libro su Pinocchio, fu così che tornando a Firenze e incontrando l’amico Andrea, direttore della Biblioteca del Palagio di Parte Guelfa, che dialogandoci amichevolmente di arte, libri e poesia, mi disse: “Ma perchè non facciamo una mostra su Pinocchio?”. Ripensando così alle parole di Nadia e al mio desiderio fin da piccolo di illustrare il capolavoro collodiano, gli tirai fuori quella che era diventata più di un’idea e iniziò il progetto dando vita al lavoro. E’ stato molto lungo! Pieno di contraddizioni e di scelte dolorose come escludere luoghi o personaggi che in quel momento non mi sembravano poi più così indispensabili. Tante storie nella mia mente si affollavano e tante scene e immagini da tagliare. Così dopo un lungo “pensamento” via via, si è compiuta l’opera. L’amico Andrea Stoppioni, mi ha assecondato con le idee, con i progetti per la mostra, dirigendo da buon direttore il lavoro espositivo! E quindi, quando è stato il momento di illustrare il direttore del circo, la scelta è stata univoca e risoluta; non c’era che un solo Direttore immaginabile:  L’”Ammiraglio” (come viene chiamato amichevolmente)  sarebbe stato protagonista assoluto di questo capitolo!
Così è stato.
Il ciuco invece rappresenta tante persone che conosco, ma non mi basterebbe lo spazio di un elenco telefonico per citarle tutte, per cui soprassiedo….

Ah, dimenticavo: Buon compleanno Andrea!

sabato 16 novembre 2013

Capitolo XXX.

Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il «Paese dei balocchi».

Tutti noi abbiamo avuto un amichetto cattivo. Io non mi posso esimere dall’averlo fatto! Era il Maggi. Era un’età in cui i nomi non esistevano, ma solo il cognome! Oddio, chiamarla amicizia era una cosa strana. In realtà passavamo diversi pomeriggi, dopo aver studiato, insieme a passeggiare per le vie delle Cure, il quartiere dove abitavo. Era di poche parole, e gli piaceva soprattutto che gli raccontassi i miei sogni, la mia vita di tutti i giorni. Erano le cose che lui non poteva vivere con la sua famiglia sconquassata. E non parlava mai di sè, e soprattutto, non mi ha mai coinvolto nella sua vita. Il suo desiderio era andare nel “paese dei balocchi” che non era lo stesso che io avevo nella mia testa. Il suo era fatto di polvere bianca, che piano piano, se lo prese e se lo portò via qualche anno più tardi. Proprio come il Lucignolo di Pinocchio… che pianse solo quando ormai non c’era più niente da fare. Ma io lo ricordo solo come un “amico” che ascoltava…. ascoltava e non viveva, e poi… non visse più!
Questo capitolo è tutto per lui!

lunedì 11 novembre 2013

Capitolo XXIX.

Ritorna a casa della Fata, la quale gli promette che il giorno dopo non sarà più un burattino, ma diventerà un ragazzo.  Gran colazione di caffè-e-latte per festeggiare questo grande avvenimento.

Torno ancora indietro nel tempo. Ricordo la casa della zia in campagna, a Lappeggi. Era la classica casa contadina. Una porticina d’ingresso, un appartamento a destra (dove abitava mia zia), uno a sinistra, le scale ripidissime e strette. e in cima un appartamento a destra e a sinistra… l’appartamento della “lumaca”. Li ci stava una signora molto anziana che passava le sue giornate a coltivare il suo piccolo orticello al di la della strada. Era piccola e minuta con un incurvamento nella schiena che la portava a rappresentare una chiocciola. Per me è sempre stata la “signora lumaca”, ma se mi scappava detto… eran ceffoni! E poi era di una lentezza disarmante. Per fare quelle ripide scale ci metteva mezz’ora… per attraversare la strada non ne parliamo. Ricordo che quando mi alzavo era ad annaffiare l’orto (verso le otto, allora) e andando a prendere un secchio per volta alla fonte, ci stava fino a mezzogiorno. Ho ancora davanti agli occhi i suoi vispissimi occhi! Ma veniamo però ai giorni nostri…
Nel disegno avevo bisogno di una lumaca un po’ più giovane (un po’....) per avere un senso di sempreterno… e che però fosse più attuale. Allora chi poteva rappresentarmi meglio una Lumaca? Ma certo, la scelta non poteva che essere quella: Monica! Chi meglio di lei con le sue cremine di lumaca. Certo, non è, e non avrei voluto che fosse il suo ritratto. Ma lei la rappresenta appieno (anche se è completamente l’opposto del personaggio Collodiano)

Ora: il disegno è fatto e mi sorge un dubbio… Non è che inconsciamente l’ho indovinata???

martedì 22 ottobre 2013

Capitolo XXVIII.


Pinocchio corre pericolo di esser fritto in padella, come un pesce.

Ulisse.
Fino all’età di 10 anni mi portavano, tutti i settembre, al mare a Marina di Pisa.
E più precisamente al Bagno Pia. Il bagno Pia era uno di quei vecchi stabilimenti di un tempo, fatti tutti di legno, con casette ai lati del bagno e le cabine per i giornalieri che si estendevano su una palizzata fino ed oltre la riva. Nell’acqua.
Naturalmente ogni stablimento aveva il suo colore che lo distingueva. E il bagno Pia era verde e bianco. L’ingresso era una sala lunga completamente colorata di smalto verde, che tutti gli anni veniva sistematicamente ridipinta e sul pavimento di cemento, c’era sempre una sedia con sopra Ulisse.
Era il bisnonno della proprietaria. Era stato un pescatore e con la sua pipa, eternamente spenta in bocca, stava lì, tutti  i santissimi giorni a guardia dell’ingresso con il suo: “deh buongiorno…” e soprattutto a ornamento del muro, fra un’infinità di conchiglie, granchi imbalsamati e reti da pescatore. E lui pescatore lo era stato, almeno fino a quando, nei prime del novecento aveva venduto la barca per comprarsi quel Bagno.
Era tale e quale all’infinito numero di ritratti di pescatori che si trovano nei vari mercatini antiquari. Io passavo le ore più calde della giornata dove mi era proibito categoricamente di stare al sole, seduto su quel cemento cosparso di sabbia, ascoltando le sue storie di quando, giovane, faceva il pescatore. Mi raccontava di onde gigantesche, e di pesci inverosimili. Di quando una balena rimase impigliata nella sua rete e che con coraggio, tuffandosi, riuscì a liberare. Io dal basso lo ascoltavo a bocca spalancata. E la luce mescolandosi a quelle pareti verde pisello, gli davano un colorito verdognolo che lo trasformavano in un omino verde.
E il pescatore verde non poteva che essere lui. Ulisse. E soprattutto, grazie ad Ulisse, che mi ha fatto viaggiare, immaginare e sognare. Il mio capitano di innumerevoli viaggi….

martedì 15 ottobre 2013

Capitolo XXVI.


Pinocchio va co’ suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere

il terribile Pesce-cane.

Deja-vu.
Fin da piccolo uno dei miei sogni ricorrenti era il correre su una piazza sul mare con il pavimento a quadri bianchi e neri cercando di sfuggire alle onde impazzite e alla pioggia a dirotto. Ho sempre associato la corsa a quest’immagine, a questa sensazione. Non sapevo che posto era. A Livorno ci andavo ormai da tanto tempo, ma andando sempre o al porto o alla rodonda dell’Ardenza, la parte centrale non la facevo mai. Un giorno piovigginoso,  come ogni tanto sul mare accadono, decidemmo io e Carla di fare un giretto sul lungomare, che lei conosceva benissimo, ma che io, invece, non conoscevo affatto. E così mentre pioveva, con le onde che scavalcavano la ringhiera sul mare, mi ritrovai in quella piazza che, tante volte avevo sognato da bambino. Fu un’emozione incredibile.
Fu così che nel capitolo della corsa di Pinocchio verso il mare a vedere la balena… il luogo da me immaginato non avrebbe potuto essere un altro. Il potere del deja-vu!
Mi piace sognare che, forse, tutti i i disegni di Pinocchio, sono nati da sogni, il cui unico loro scopo, era finire su un bianco foglio immacolato. E li esplodere di colori! Alla faccia di chi sogna ancora in bianco e nero!

sabato 12 ottobre 2013

Capitolo XXV.

Pinocchio promette alla Fata di esser buono e di studiare, perché è stufo di fare il burattino e vuol diventare un bravo ragazzo.

Qui casca l’asino! Nel senso che è un’immagine transitoria della “mia” storia. Non è stata ispirata direttamente da nessun evento. Certo fra 36 disegni, quasi tutti ispirati a qualcosa o qualcuno, ci doveva essere una pecora nera. Eccola. E comunque tante volte ho promesso, mai mantenendo, che avrei studiato. “Sarebbe bravissimo, un genio… se solo studiasse tutto e non solo quello che gli piace…” E’ stato il refraine della mia vita scolastica. Dall’Asilo alle Superiori la stessa frase da tutti gli insegnanti di turno. Tranne quelli di matematica, fisica ecc. che mi davano per, inesorabilmente, spacciato. Ma i voti nelle altre materie mi salvavano… e la media era buona. Per cui, mi sento di affermare, quasi con assoluta sicurezza, che, insconsciamente ho voluto, qui, rappresentare tutti quelli che pazientemente aspettavano che mi decidessi ad aprire qualche libro!

mercoledì 9 ottobre 2013

Capitolo XXIV.

Pinocchio arriva all’isola delle «Api industriose» e ritrova la Fata.

Un giorno, non ricordo né quando, né come, arrivai in una piazza indaffarata. Piena di gente che correva e sbraitava . Gente che trattava sui prezzi. Suoni, odori, colori m’invadevano e mi avvolgevano completamente. Non mi era mai capitato di trovarmi in una grande Piazza così affollata e piena di banche che vendevano d’ogni cosa. Un mercato così non l’avevo mai visto! E sì che io ero nato in Piazza delle Cure, dove il mercato c’era da sempre… ma quello mi colpì in modo particolare e quando posso ci vado e mi gusto, come allora quelle sensazioni. Quando è stato il momento di rappresentare l’isola delle “Api industriose” ho pensato proprio a quella piazza e a quel mercato, caro ricordo di un tempo: Certo, ero cosciente che il Collodi l’aveva ambientata in una fattoria in mezzo al Padule dell’Osmannoro. Ma quel luogo era profondamente radicato nel mio cuore: Piazza Cavallotti a Livorno!

lunedì 30 settembre 2013

Capitolo XXIII.

Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai Capelli turchini: poi trova un Colombo, che lo porta sulla riva del mare, e lí si getta nell’acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto.

Oh, ve lo dico sottovoce, ma quando lessi per la prima volta questo capitolo mi misi a piangere: Non ci potevo credere! La fatina Morta! E ora come facevo? ma soprattutto cosa avrebbe fatto Pinocchio? Era il capitolo che ci avevano dato da leggere durante le feste di Natale del 1968... Ma per fortuna era solo una trovata del Collodi per far spaventare Pinocchio che poi andò al mare per trovare Geppetto.
E ci andò volando! Quel colombo che lo trasportò verso il mare mi fece sognare… eccome! La mia mente di bambino svolazzava a destra e a manca, e, probabilmente, una delle origini inconsce dei miei personaggi volanti è proprio lì, ache se so per certo quando e come mi venne l’idea!

Ma il mare, Collodi non l’aveva mai visto e per lui, era quella distesa d’acqua, o più precisamente un padule, che c’era nella piana dell’Osmannoro fino alle bonifiche tardo-ottocentesche. Il “mare” partiva da Sesto ed arrivava fino a Peretola, nella zona dove oggi c’è l’aeroporto ed è anche quella dove io abito. Lì convolgevano tutti i torrenti che scendevano dai monti e ristagnavano in una palude. Il Mare Nostrum! e oltre il mare c’era il mondo di favole tanto caro al Collodi.

sabato 28 settembre 2013

La bandierina tricolore

Mi sono deciso, e, con il mio blocco da disegno e la mia macchina fotografica, me ne sono andato al villaggio dei mondiali di Ciclismo al Campo di Marte a Firenze. Potevo lasciar passare la settimana mondiale senza esserci andato… certo che no!
E così, armato di pazienza, usando i mezzi pubblici ci sono arrivato. C’era il Caos, quello con la C maiuscola. Mi sono trovato immerso in un mondo globale immensamente colorato. C’era di tutto un po’! Olandesi completamenti arancioni da capo a piedi… inglesi con i loro cappelloni colorati e pieni di lustrine. Norvegesi avvolti nelle loro bandiere come se fossero mantelli dei loro avi vichinghi e belgi ciccioni nelle loro iperattillate magliette della nazionale con boccali di birra in mano presi chissà dove! Gli stand offrivano, fra qualcuno di trippa e porchetta, il massimo dell’ipertecnologia. Dalle biciclette megagalattiche a indumenti appositi che pesano meno di 50 grammi… tanto vale pedalare nudi…. Tecnologia alla massima esponenza. Uno stand sfoggiava una mega pista di sabbia! Magico sogno dei miei ricordi fanciulleschi, e li accanto bimbi che, invece di giocarci, spippolavano sui loro telefonini… Che tristezza.
Poi la corsa degli Under 23 (poco tempo fa erano dilettanti). Vedere quei ragazzotti dannarsi l’anima sulle loro bici fantascientifiche sfiorare le transenne di pochi millimetri, sgomitarsi per guadagnare un posto, è un brivido che dura per 7 giri, fino a che un ragazzino appena diciottenne mette la quinta e se ne va da solo. Teniamo presente che tutti gli altri, grazie ad un regolamento assurdo hanno 22, 23 anni e sono già dei professionisti. Comunque resiste e se ne va a vincere da solo a braccia alzate rallentando fino all’inverosimile per godersi ogni attimo di quella vittoria con il rischio di essere ripreso.
Poi la gente comincia a sfollare, e noi con loro.
All’improvviso mi appare davanti un bambino che avrà avuto si e no 6 o 7 anni biondo e minuto con la manina in quella della sua giovanissima mamma, con, nell’altra mano un rametto d’albero preso chissà dove con attaccato sopra un foglio di carta dipinta a matite a cera, la bandiera Italiana. Non me lo sarei mai aspettato.

Li, sul viale d’arrivo ai bambini davano ogni tipo di gadged, e di bandiere avrebbe potuto averne a decine, ma lui, imperterrito, stringeva la sua bandierina “artigianale”! SUPENDO. E’ stata un’emozione incredibile. Mi sono rivisto da piccolo! Pensare poi che 40 anni fa era, diciamo, abbastanza facile farlo. Non è che c’erano tanti mezzi come ora, per cui il suo gesto vale dieci volte tanto. Devo confessare che mi ha emozionato all’inverosimile. Mi piace pensare che fra 40 anni, nei futuri blog iperconnessi, lui racconterà questa giornata ricordando che in quel baraccone colorato, l’unico colore vero l’aveva portato lui!

sabato 21 settembre 2013

I mondiali in casa mia!

Ovvai ci siamo! Questi giorni li ho aspettati tutta una vita, certo, pensando che fosse un sogno irrealizzabile, ma adesso le biciclette sono qui!
Fin da piccolo, giocando sulle piccole mattonelle di granito, che diventavano a seconda della corsa che trasmettevano in quel momento nella televisione in bianco e nero, il Pordoi oppure il lungomare di Viareggio. Ogni mattonella era un percorso della tappa che con i miei dadi e i miei ciclisti di stagno colorati, seguivano passo passo la corsa in tv. Facendo vincere naturalmente i miei idoli di ragazzino, da Basso, Dancelli, Bitossi, Saronni De Vlaeminck, Baronchelli… e via dicendo. Ma la passione per il ciclismo nasce anche sui miei interminabili pomeriggi a correre in bici all’interno di quello che era allora il “mio” mondo.
Guardando il percorso iridato, mi sono infatti accorto di due cose, per me, fondamentali. Primo: Delimita perfettamente quelli che erano “i confini” della mia infanzia, oltre il quale c’era l’ignoto. Come amava dire il Collodi, Noi fiorentini non siamo esseri umani, ma dei vegetali abbarbicati e ben radicati ai selciati delle nostre strade. Oltre le nostre mura c’era l’ignoto, un mondo fantastico fatto di racconti e di viaggi inimmaginabili. E quello era il  “mio” mondo, tutto racchiuso, esattamente, all’interno del percorso. A est lo stadio, dove andavamo a giocare a pallone sotto la curva Ferrovia oppure a volte, a Tennis cercando di colpire la palla. Il Viale dei Mille fino alla linea d’arrivo della corsa, era il nostro (con i cari amici dell’infanzia)  viaggetto pomeridiano, chiacchierando dei nostri progetti, dei nostri sogni e delle varie ragazze di turno. Ma quel viale era anche il tragitto che Bobo, percorreva i 600 metri del viale e se ne andava tutto solo alla Toilette per cani allo stadio a farsi bello e a l titolare non rimaneva che chiamare il padrone per chiedergli che fare. Il nostro amico cane, anche se la parola cane nel suo caso era molto riduttiva. Era un compagno di giochi e come tale era un amico a tutti gli effetti.
A Ovest c’era via Bolognese, che i ciclisti faranno scendendo giù a gran velocità, dove c’è il Giardino della mia infanzia. Il giardino dell’Orticultura con la sua enorme serra ottocentesca in ferro battuto, allora diroccata, e meta di interminabili avventure. Ma c’era ache la Salita dei Roccettini, sulla quale i ciclisti si daranno battaglia, terreno allora delle nostre sfide drammatiche in salita fra biciclette e motorini, nella quale i motorini spesso soccombevano (O fondevano come il Ciao senza variatore… vero Riccardo?)
A Sud la Ferrovia che ci divideva dalla città, come dicevano i vecchi di allora, che consideravano Le Cure, ancora un piccolo paesino attaccato alla grande cittadina. Il ponte sopra la ferrovia, che fra l’altro ha la mia stessa età, era la destinazione domenicale, quando mio nonno mi portava a vedere i treni dal ponte. Era una sensazione incredibile.
A Nord, c’era Fiesole. La sua salita. I miei innumerevoli viaggi fatti per andarci a trovare la mia Carletta. Anche le volte che ci andavo in bicicletta e arrivavo morto.
Quello era il mio mondo. La mia Vita.
Ma come dicevo c’è un altro motivo: Fin da piccolo ho sognato di veder correre il mondiale in quelle “mie” strade. E me lo immaginavo perfettamente come l’hanno ideato. Oddio, io al ponte del Pino avrei girato in via Faentina, ma adesso l’anno chiusa al passaggio a livello e quindi l’unica possibilità è quella che hanno ideato. Dovrei chiederne i diritti di Copyright! Comunque è un sogno che si realizza e so che creerà una valanga di problemi. Il fiorentino ha da ridire a prescindere, e, hanno già cominciato, me compreso, a lamentarsi. Comunque sarà una bellissima festa e come tale andrà vissuta. L’aspetto da una vita. Esattamente dal giorno degli esami di quinta elementare quando all’uscita passarono i ciclisti del giro d’Italia. Quel giorno pensai che i Mondiali a Firenze avrebbero dovuti esserci! Ho aspettato 43 anni e da domani sarà un altro dei miei sogni che si avvera… uno dei tanti! Sono molto fortunato! Purtroppo non abito più la! Abito in una zona perferica, ma passeranno comunque sotto casa, e mi le vedro scorrere velocemente su questa dirittura di ben 15 chilometri. La corsa toccherà anche località a me più care. Lucca, Montecatini, Pistoia, Il San Baronto, luoghi, ognuno dei quali, per me, significativi! E soprattuto non passerà né da Prato né da Pisa… che posso chiedere di più?

martedì 3 settembre 2013

Capitolo XXII.


Pinocchio scopre i ladri, e in ricompensa di essere stato fedele vien posto in libertà.

Si lo so, Melampo era un bricconcello e dentro la storia di Pinocchio non c’è; almeno fisicamente. In realtà è solo  il nome di un cane bravissimo, eccezionale, ma che, sotto sotto, era in realtà disonesto e approfittatore. Ma Melampo, è sempre stato per me, il nome che avrebbero dovuto dare a Dago, il cane lupo di mia nonna Egle. Passavo intere giornate a giocarci, correndo in quel giardino confinante al giardino di Boboli.
Quando l’idea di illustrare Pinocchio si è concretizzata, avevo deciso di disegnare la cuccia con Pinocchio e le faine all’interno di quel giardino di cui posseggo ancora, e gelosamente, una fotografia.
Ma poi è avvenuto un fatto strano, sai, di quelli che ogni tanto mi accadono.
Mentre stavamo facendo la ricognizione collodiana (intesa come paese) pensavo naturalmente ai luoghi dove avrei potuto mettere le varie scene. All’improvviso, dietro un angolo, in una piazzetta mi appare all’improvviso un bel canòne nero bello disteso, inerme a tutto quello che gli capitava intorno: “Melampo” ho pensato immediatamente. Come lui era impassibile alle faine e si accontentava della ricompensa, quello ci lasciava fare tutto accontentandosi di una carezza. Ecco: Quella scena sarebbe diventata all’improvviso la scenografia ideale dell’illustrazione. Certo è stata sofferta. Avevo già iniziato il disegno in altro modo. Vorrà dire che Dago e quel giardino, li ricorderò in altri disegni, in altre storie...

lunedì 26 agosto 2013

Capitolo XXI.

Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe a far da can di
guardia a un pollajo.

Quand’ero piccolo, come già ho raccontato per un precedente capitolo, passavo le estati in campagna dalla zia a Lappeggi. Insieme alla banda di bricconcelli, visto che s’avvicinava ormai incombente la vendemmia, decidemmo di andare a fare razzia in un potere vicino a Baratro (Paesello composto di almeno 3 case). Aspettammo le ore più calde, quando i contadini stavano ormai rimettendo a posto i loro attrezzi. Scendevano vociando giù nel filare, verso il paese e noi, dall’alto del vigneto, cominciammo ad ingozzarsi di quell’uva, che in fondo non era un granché da mangiare, aveva un sapore aspro e dolciastro al tempo stesso. Ma non avevamo fatto bene i conti! Sentimmo un urlo spropositato, e pensando venisse dai contadini che scendevano a valle, cominciammo a correre verso il crinale della collina, e ci trovammo davanti un Contadinone incavolato nero che smoccolava (bestemmiava) all’inverosimile. Scappammo in ogni direzione strappando tralci di vite e graffiandoci in ogni parte delle gambe e delle braccia. Appena giungemmo a distanza di sicurezza, ci accorgemmo che il bersaglio non eravamo noi, ma due ciuchi che erano entrati nel vigneto con prepotenza e mangiando qua e la distruggevano i filari…
La paura fu tanta però e cessò subito quando vedemmo i ciuchi che correvano all’impazzata nel vigneto. Fu un momento di ilarità strordinario, e quel filare in discesa non me lo potei più dimenticare.
Quand’è stato il momento di illustrare questo capitolo il disegno si è fatto da solo. Mancano solo i ciuchini… ma per quelli ci sarebbe stato spazio più in la’!
Poi, potevo non metterci la lucciolina?... Un piccolo omaggio nell'ultimo arrivato nel mondo che mi circonda: Claudino!

lunedì 22 luglio 2013

Capitolo XX.


Liberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa della Fata; ma lungo la strada trova un serpente orribile, e poi rimane preso alla tagliuola.

Fu così che quella mattina decidemmo di esplorare i dintorni di Bagnolo, sul passo del Giogo a Firenzuola. Sapevamo  che là, sopra la casa c’era il crinale dove i tedeschi avevano costruito la Linea Gotica e che ci ispirava non so quali fantasie. Non ricordo che anno era, ma eravamo già abbastanza grandicelli. Così di prima mattina, tutti belli armati di scarpe da ginnastica, jeans robusti e zainetti pieni di ogni ben di dio, partimmo per quella avventurosa gita! Così, nonostante le continue “brontolate” di Ornella (che era la mamma momentanea di tutti) Io, Carla, Fabrizio, Gabriella e Gido, partimmo per l’avventura. E l’avventura fu arrivare al crinale. Ci infilammo su nel bosco, in mezzo ai castagni e le querci, e fra una scivolata e l’altra e una bella culata in terra, raggiungemmo i sentiero. Dopo un paio d’ore, credo che facemmo si e no, nemmeno 300 metri.... Comunque, diligentemente c’incamminammo in quel viottolo scosceso, non so come scavato nella montagna. Tutti rigorosamente in fila indiana, dato che non c’era nemmeno lo spazio per girarci, dato che da una parte c’era la parete della montagna, da l’altro il burrone con tutto il sottobosco. Ad un certo punto, Fabrizio, che era il primo si trovò davanti un serpente gigante... ci bloccammo tutti impietriti. Questo non ne voleva sentire di farci passare e cominciò a tirare fendenti con la coda! Fabrizio, che era l’unico che poteva colpirlo, gli lanciava addosso ogni ben di dio, gridando: “Datemi un bastone, datemi un bastone”!. io prontamente vidi un bel palo, glielo passai e appena tentò di colpirlo, il bastone si sbriciolò in mille pezzi... Non sò se a quel punto furono più le risate o la paura di quel bestione. Riuscimmo (anzi Fabrizio riuscì) ad ammazzarlo e come un cimelio ce lo portammo via. Decidemmo che quell’escursione non faceva per noi e ce ne tornammo con vari lividi e ferite (tipo lo squarcio nella gamba della Prof. Gabriella....) Quando arrivammo misurammo il serpente; Era un frustone di quasi 180 cm, serpente tipico di quelle zone.
Quando sono arrivato ad illustrare questo capitolo il pensiero non poteva tornare che a quell’episodio, e soprattutto al ricordo di splendide vacanze passate in quegli anni con i miei carissimi amici! Tantissime avventure e risate.

ps: Monica, vedi, il serpente con te non c’entra nulla..... ma c’entrerai più in là... non ti preoccupare!

martedì 9 luglio 2013

Ciao Stefano

Non posso certo affermare che era un amico... ma più che un conoscente sì!
Ci siamo incontrati tutte le mattine per un paio d’anni intorno al ‘90 a fare colazione in un bar di amici. Passavamo degli inizi di giornata splendidi, sempre all’insegna del sorriso, spessissimo accompagnati dalle barzellette di Giorgio, un amico in comune, che ci faceva morire dal ridere e così partiva la giornata, sempre in ritardo, noi nel nostro laboratorio e lui nel suo campo allo stadio. Ricordo lo zucchero che metteva nei suoi cappuccini... una cosa spropositata, tanto che la ragazza al banco giurava che prima o poi glielo avrebbe fatto pagare il doppio. Mitica fu una mattina che pioveva a dirotto e io e Carla arrivammo li in Vespa... Entrando nel locale col casco in capo e Stefano insieme ad uno dei proprietari esclamarono all’unisono a Carla: “Ciribiribinkodak” come recitava uno slogan pubblicitario di allora, oppure, alla vigilia del mio matrimonio, entrando mi trovai lui, qualche collega viola e gli amici tutti in piedi sui tavolini e sul bancone che mi cantavano in coro: “Salta l’altare, Maurizio salta l’altare....” Ma a parte queste cose divertenti lo voglio ricordare per sempre come un ragazzo splendido con cui si poteva parlare seriamente di ogni cosa e soprattutto mai di calcio!. Era già ricco e famosissimo, ma con noi era una persona splendida. Lo ricorderò per sempre mentre si faceva il nodo alla cravatta... e dico proprio nodo! come si lega un pezzo di corda! Così, con quel nodo montò sul pulmann che l’avrebbe portato a Roma dal Papa chiedendosi perché ci doveva andare, il suo posto era il campetto in mutande. Da quel giorno ci siamo persi, e la malattia se l’è preso e non ce l’ha più reso. Ancora non ho realizzato quel che è successo.... Intanto però ti saluto con un “Ciao Stefano” e come quella mattina, questa volta brontolo io dicendo: “Ma dove vai... il tuo posto sarebbe su questo mondo.... a correre in mutande su prati verdi” come dicevi!

martedì 11 giugno 2013

Capitolo XIX.

Pinocchio è derubato delle sue monete d’oro, e per castigo, si busca quattro
mesi di prigione.


Cos’era una prigione, non avrei potuto immaginarlo in nessun modo da piccolo, se non la privazione del gioco. Ma accadde un fatto, che una prigione, o almeno qualcosa che gli assomigliasse, me la fece immaginare... e bene.
Prima che entrasse in vigore la famosa legge 180 del 74 (credo) c’era una mia lontana parente, poco appena più che adolescente, che ha causa di una delusione amorosa si ritrovò in una forte depressione. Purtroppo di cure non ce n’erano tante e gli Psichiatri, allora, mandavano direttamente a San Salvi: Il manicomio fiorentino! Li i probabili pazienti (anche quelli che in realtà non erano pazzi) venivano sottoposti alle peggio cure barbare, compreso il famigerato elettroshock. E lei non ne fu immune, e la cosa, dopo quelle cure abominevoli, peggiorò talmente che fu ricoverata. Purtroppo ad ogni cura peggiorava e non ne usciva più. Era entrata nella voragine della follia. Un dottorino disse che le avrebbe fatto bene vedere le persone a lei care, e lei chiese di vederci. Fu così che un lunedì mattina tutta la mia famiglia, me compreso, andò a trovarla. Non ricordo che successe, probabilmente l’ho cancellato anche se ero già intorno ai 10 anni, ma mi è rimasto indelebile il ricordo di quel lunghissimo corridoio buio, sporco, con i muri scrostati, con porte pesanti di ferro con le grate e lucchetti con catene ad ogni porta, e dietro lamenti di ogni specie. Quello era un carcere... non un manicomio.
Certo, fino a quel periodo quella era la consuetudine. Ma a me lasciò per sempre l’immagine della prigione.... anche se quelli in realtà erano uomini liberi!
Mi ricordo una scritta sul muro. “Da questo sporco rinasceremo”!

E qui si lega anche alla città di Acchiappa-citrulli. In piazza della Repubblica a Firenze c’è un enorme insegna che recita: “Da secolare squallore a vita nova restituita”. Sembra la stessa frase...  E per il Collodi la città di Acchiappa-citrulli era proprio Firenze. Quando diventò capitale d’Italia fu spolpata per renderla una città moderna (da qui l’insegna) e i fiorentini si ritrovarono senza più soldi, visto che il regno, fece bella la sua capitale... a spese dei poveri abitanti e il Comune fiorentino finì col fallire ripetutamente. E al Collodi, questa cosa, non andò mai giù... e nemmeno ai restanti fiorentini...: Appena entrato in città, Pinocchio vide tutte le strade popolate di cani spelacchiati, che sbadigliavano dall'appetito, di pecore tosate che tremavano dal freddo, di galline rimaste senza cresta e senza bargigli, che chiedevano l'elemosina d'un chicco di granturco, di grosse farfalle, che non potevano più volare, perché avevano venduto le loro bellissime ali colorite, di pavoni tutti scodati, che si vergognavano a farsi vedere.”

venerdì 31 maggio 2013

Capitolo XVIII.

Pinocchio ritrova la Volpe e il Gatto,  e va con loro a seminare le quattro monete nel Campo de’ miracoli.


Quand’ero piccolino, alla fine della scuola, venivo spedito in campagna dalla zia Maria. Abitava in un piccolo complesso di case ai confini tra Firenze ed il Chianti, costruito accanto alla Villa Medicea di Lappeggi. Li ho passato tante bellissime estati, fatte di corse nei campi, corse in bicicletta su e giù per la strada circondata da cipressi e cicale, e interminabili partite a pallone che gli abitanti del luogo, quasi tutti contadini, avevano fatto per i proprio ragazzi... e udite udite, per fortuna, fra i tanti bambini... non c’era nemmeno una frignante bambina... Un paradiso terrestre! L’unica nota dolente era il dover andare, obbligatoriamente, a prendere l’acqua dal pozzo che c’era sulla strada, dato che di acqua corrente, in casa, in quelle zone, non se ne parlava proprio.
Un pomeriggio, che ricordo come se fosse ieri, stavamo esplorando sospettosi un campo al di la della discesa che portava verso Baratro, e che era per noi la frontiera dell’ignoto (e anche frontiera invalicabile... se ci avessero scoperto...). Lungo la strada, sotto il margine c’era un campo brullo dove ogni tanto vi trovavamo cose che la gente buttava via, e con quelle ci costruivamo ogni possibile cosa. Quel giorno lì, c’era un enorme sacco della nettezza completamente colmo. Con circospezione ci avvicinammo, e con dei rami, rompemmo il sacco e, udite, udite, da quello stroppo uscirono soldatini... si, quelli piccolissimi della Bontempi! Ce n’era un esercito, anzi che dico.... mille eserciti completi. Chissà come vi erano finiti... non lo sapevamo. Probabilmente, visto che all’Antella (Il paese più grande li vicino) c’era una fabbrichetta di stampi plastici,  qualcuno, direi bravo, aveva “buttato” gli scarti di lavorazione venuti male. Infatti quei soldatini non erano perfetti... ma erano tanti... Ne facemmo incetta e tutta l’estate Lappeggi fu invasa da quei minuscoli soldatini che erano finiti in ogni angolo. Fu un’estate fantastica. E quello diventò, e soprattutto è restato, per tutta la mia vita... “il campo dei miracoli”!

giovedì 30 maggio 2013

Capitolo XVII.


Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso.

Madonna... i becchini! Quando ero piccolo i Fratelli della Misericordia, quando avevano a malapena dei pulmini Fiat adattati ad ambulanza, se ne andavano in giro con quella veste nera, incappucciati, e facevano una paura bestiale. E io non ne ero immune. Pensavo che, chi portavano via.... poi non si rivedeva più.
Poi penso ai Dotti, Medici e Sapienti, ma qui sarebbe bene stare zitto, altrimenti scatenerei una guerra, visto l’alto numero di quelli che mi circondano, con i loro “Se fai così...”, “Dovresti fare...”, “Te l’avevo detto.....” e i “Guarda me....”, ma stendiamoci un velo sopra.
E intanto a Pinocchio cresceva il naso, e quante volte, dopo una piccola bugia io facevo i salti mortali per guardarmi di profilo il naso per controllare che fosse tutto a posto... Allora come adesso, ho sempre creduto alle favole, e, a differenza di quello che pensano i Dotti Medici e Sapienti, son sicuro che sia un pregio. Gli lascio volentieri la tristezza del pessimismo. La penso esattamente come il grande Tonino Guerra: “L’ottimismo è il profumo della vita”!

domenica 26 maggio 2013

Capitolo XVI.


La bella Bambina dai Capelli turchini fa raccogliere il burattino:
lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto.


La Fata è la mia musa! lo è sempre stata. Sicuramente! Come per Pinocchio era la guida, per me è stata una fonte inesauribile di idee e di progetti. Certo, anche di sogni irrealizzabili. Ma soprattutto la guida principale nell’arte. Cominciò così, per un desiderio di comunicare il sogno di un “volo” che nella tarda estate del ‘78 i miei primi personaggi presero il volo... ma, purtroppo, li si fermarono, e rimasero in un cassetto. Fu parecchi anni dopo, che maturò in me la decisione che avrei fatto il pittore e dopo un misero inizio come “pittore realista”, nel periodo in cui abitavo nella Pieve di San Martino, che tornò alla mente quel disegno dimenticato e, preso dalla voglia di ritrarre un volto mai dimenticato che la mia arte riprese il volo. Certo, non fu facile, passando attraverso feroci critiche e sorrisi beffardi, ma la mia Fata\musa, non mi faceva demordere. Anzi insistevo ancora di più. Tanto che un mio “Omino” si trovò nuovamente sospeso nell’aria, ma questa volta il quadro non rimase nascosto, e vinse addirittura il Premio Italia per le arti visive. Era un nuovo inizio, e la Fata, come sempre, nel mio cuore non mi abbandonava. E’ stato un crescendo, tanto, che di li a poco, quel mio splendido hobby diventò una professione fino a farmi arrivare al punto in cui sono arrivato. Mancava comunque qualcosa. Era un bel quadro sulla Fata... e quante volte, scrutando nei ricordi, ho cercato di realizzarlo. Quanti ne ho buttati via...
Poi la “vocina” della splendida fata mi disse di illustrare Pinocchio e così è cominciato questo splendido lavoro. E mi ha seguito passo passo, accompagnandomi nella crescita di queste opere, fino al raggiungimento finale. Devo ringraziarla profondamente. Senza questa figura straordinaria tutto questo non sarebbe stato possibile. Grazie bella Bambina dai capelli turchini. La mia musa... da sempre!

sabato 25 maggio 2013

Il cervello


Leggendo qua e la, mi sono imbattuto in una ricerca scientifica che ha dimostrato che il cervello non si limita allo spazio della testa, ma prosegue nel corpo fino allo stomaco e addirittura ai piedi. Lo sapevo! L’ho sempre pensato e c’ho anche i testimoni. Pensavo da sempre che l’umanità fosse divisa in razze, ma a differenza degli stronzi che credono che sia dovuta al colore della pelle o alla differenza di provenienza, io penso che sia dovuta al posizionamento del cervello all’interno del corpo umano.
Perdonatemi se sarò scurrile in alcuni momenti, ma non saprei che altre parole usare, d’altra parte sono fiorentino, e qua, così si parla.
C’è chi il cervello ce l’ha nei piedi e nelle gambe. Sono quelli che vivono di corse, salti, calci. Quelli che passano la loro infanzia a rincorrere un sogno di un successo sportivo, che raramente avviene. Continueranno imperterriti ad inseguire un sogno ormai svanito e logoreranno il loro fisico in sforzi inutili che li allontanerà sempre più dalla realtà. Purtroppo passeranno il resto dei loro giorni a rincorrere inutilmente la vita senza addirittura capirne il perché. D’altra parte il cervello è molto lontano dalla loro testa.
Ci sono poi quelli che il cervello ce l’hanno nel cazzo.
Sì! Proprio lì!.
Sono quelli che inseguono prede per tutta la vita, dispensando ogni tanto qualche schizzetto di liquido organico, col quale se ne va, a poco a poco anche la loro materia cerebrale. La loro intelligenza è inversamente proporzionale al vanto della conquista delle loro prede. E si ritroveranno, inesorabilmente, svuotati... in tutti e due i sensi.
Quelli poi che il cervello ce l’hanno nel culo e si possono dividere in tre specie: i delinquenti, i politici, e quelli di cui parlavo all’inizio e che ne sono gli interpreti principali: i razzisti. Tutti questi si che sono uomini di merda.
C’è chi invece il cervello ce l’ha nelle braccia e nelle mani. Convinto fortemente dal fare a tutti i costo. Passa la vita a “fare”... qualsiasi cosa. Gli basta tenere le braccia impegnate e il tempo gli passa davanti inesorabile, senza che le sue mani riescano mai ad afferrarlo... e, purtroppo mentre quello  sempre più si allontana.
Qualcuno, invece il cervello ce l’ha proprio nella testa. Sono i ragionatori. Quelli che devono organizzare tutto. Quelli che ragionano fittamente di tutti i pro e tutti i contro che ci possono essere. Sono un PC ambulante... e ogni tanto si impallano, e hanno bisogno di essere resettati. E come i PC diventeranno vecchi e funzioneranno sempre peggio.
Poi, per fortuna, c’è chi il cervello ce l’ha nel cuore, e tutto il resto viene da sé.
Amano profondamente ogni cosa che fanno, e tutto quel che fanno, è per donarsi agli altri. Probabilmente ce ne vorrebbero di più di persone così al mondo. Le cose andrebbero sicuramente meglio. Ma, purtroppo è un’utopia. Di questa razza ce ne sono pochi, e, in ogni comunità, si possono contare sulle dita di una mano. Ma non dispero. In fondo l’essere umano su questa terra non c’è da molto tempo e avrà tempo per crescere.
Dimenticavo. Ci sono anche quelli che il cervello ce l’hanno nel portafogli. Addirittura fuori da corpo... ma non ne vale la pena perder tempo con loro.

venerdì 24 maggio 2013

Capitolo XV.


Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande.


Lutto nazionale. Quando arrivai a questo punto, mi sentii morire. Pinocchio non ci poteva lasciare. Anche vedendo che il libro conteneva tante pagine, ed ero sicuro che sarebbe guarito, non ci potevo credere. Anche il Collodi probabilmente ci ragionò molto sul fatto. Infatti, fu grazie a una piccola sollevazione popolare, che ritornò sui suoi passi e desistette dal farlo morire. Infatti a questo punto arriva...... ma questo succederà poi. Parliamo invece della Querci a grande. Io ho usato quella che è comunemente conosciuta come la Quercia di Pinocchio a Capannori in Provincia di Lucca. Ora, sappiamo che non poteva esser quella (ragionando fantasticamente) poiché la storia si svolgeva tutta nei dintorni di Sesto Fiorentino. La Quercia grande esisteva realmente ed era nel podere della villa bel Riposo, di proprietà dei Lorenzini. Giovannina, era governante di casa e ”amichetta” di Collodi, e l’aveva ispirato nella costruzione ella storia pinocchiesca, ed era stata a sua volta presa a modello per la fata turchina; Ella  aveva un terrore profondo di quella quercia sotto la quale il Collodi amava scrivere le sue storie, pensava che lì la gente veniva rapita dagli spiriti delle fate e moriva. E così la fine di Pinocchio non poteva che svolgersi lì. Nel ‘900 quella quercia crollo... e quella di Capannori, diventò la quercia di Pinocchio!